Continua il racconto del presidente Del Turco che giunge alla parte più triste del suo vissuto, una pagina nera della sua storia personale, uno spartiacque, un macigno. Un paragrafo oscuro della storia della nostra regione che si è vista decapitare un governo eletto democraticamente con quasi il 60% di preferenze.
Sabato 12 luglio 2008 a Pescara si è svolta una cena tra amici in cui, tra tanti argomenti di conversazione di varia natura, si è parlato dell’imminente arresto del presidente della regione Abruzzo Del Turco. C’erano delle aquilane sedute a quel tavolo e c’era un procuratore pescarese. Il fine settimana del presidente Del Turco trascorre normalmente a Collelongo e nulla lascia presagire quello che succederà lunedì mattina presto. Prima di procedere con il racconto, vorrei aprire una brevissima parentesi sulla presunzione d’innocenza, che è un principio inalienabile della Costituzione della Repubblica Italiana, secondo il quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva, confermata al terzo grado di giudizio dalla Corte Suprema di Cassazione. L’onere della prova spetta alla pubblica accusa e non è quindi l’imputato a dover dimostrare la sua innocenza, ma è compito degli accusatori dimostrarne la colpa. Detto questo, la valanga di prove schiaccianti, annunciata dal procuratore capo Nicola Trifuoggi nella fantasmagorica conferenza stampa che si tenne a Pescara dopo l’arresto, non è mai venuta fuori pur consegnando a Del Turco una condanna a 9 anni e 6 mesi con un capo d’imputazione cambiato. Dopo 5 anni di processo e 140 testimoni chiamati dall’accusa ad avvalorare la ‘concussione’, l’ex ministro è stato assolto dal reato di concussione “per non aver commesso il fatto”, come si legge nel dispositivo, ed è stato condannato per altri e vari capi di imputazione. Il Tribunale pescarese ha dichiarato Del Turco anche interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e obbligato a pagare oltre 10 milioni di euro di danni alla regione Abruzzo.
«Alle ore 7:30 ho sentito suonare alla porta di casa a Collelongo – racconta Del Turco -. Ero solo, Cristina era tornata a Roma, ed ero pronto per andare in ufficio a L’Aquila, aspettando di uscire appena sentita l’auto della regione avvicinarsi a casa. Ho aperto la finestra e ho visto tanta gente in strada che mi osservava. Sotto, a piano terra, ho visto i finanzieri. Quando ho aperto loro, mi hanno annunciato una perquisizione e solo una mezz’ora dopo il comandante mi ha parlato dell’ordinanza di arresto: ‘Al termine la dovremo condurre al carcere di Sulmona‘, mi disse. Solo dopo seppi che i tg alle 7:30 avevano già dato la notizia del mio arresto». Se avesse guardato la televisione il presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, avrebbe avuto in anteprima la notizia del suo imminente arresto. Quando si dice che l’informazione funziona! «Ho conosciuto tutti i gradi delle restrizioni delle libertà personali. Nemmeno a Vallanzasca! Sono stato 28 giorni in isolamento, in una cella 2 metri per 3, senza porte e con una sola finestrella nella parte alta della parete. Per timore di gesti inconsulti non mi perdevano mai di vista, così l’utilizzo del lavabo e del water non prevedeva privacy. Uscito dal carcere sono stato ai domiciliari e, infine, mi hanno concesso la residenza obbligatoria, cioè mi concedevano di stare a casa a Roma e, poi, di chiedere il permesso di spostarmi a Collelongo e viceversa.
Per 6 mesi sono stato costretto a questa trafila e poi, per una scelta di vita, ho optato di rinunciare ai miei diritti. Mi concedo una passeggiata al mattino e una partita a carte la sera. La pittura è la mia passione e mi aiuta a stare a casa. Spesso scrivo». Cerco di riportare la conversazione alla mattina del 14 luglio, anche se non mi stupisca il tentativo di abbracciare racconti e pezzi di vita meno dolorosi. Mentre la perquisizione andava avanti, il presidente racconta di aver «preparato i libri da leggere in carcere. Ho scelto ‘Il giovane Holden’, ‘Il rosso e il nero’ di Stendhal e ‘Addio alle armi’ di Hemingway. Ho sviluppato un giudizio di quelle pagine completamente diverso da quando li avevo letti da giovane. Da ragazzo avevo ritenuto pessimo ‘Addio alle armi’, invece dopo averli riletti in carcere, credo che le ultime 15 righe siano le più belle della letteratura americana». A Sulmona avevo un’ora d’aria al giorno e la mia forma di protesta fu di rifiutare anche questo privilegio». In quei 28 giorni rimasero al presidente le parole degli amici che non lo rinnegarono e che poterono inviare le loro lettere alla casa circondariale di Sulmona, in mezzo ai 41 bis. Le visite dei familiari furono centellinate e i ‘doni’ accessibili, come cioccolata o biscotti, cosa rara!