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Berlusconi e Ruby, come la Procura di Milano riesce a costruire martiri

Il 17 ottobre 1931 Al Capone (soprannominato Scarface) venne condannato a 11 anni di carcere ed a 50mila dollari di multa per evasione fiscale. Eppure da alcuni anni Capone era stato indicato come “nemico pubblico numero 1” dal Fbi che aveva costituito anche una squadra speciale per incastrarlo (la circostanza è raccontata nel film “Gli intoccabili” dal nome attribuito proprio a quel gruppo di agenti federali).

Immaginiamo che la scelta di perseguire il gangster italo-americano per evasione fiscale fosse il frutto di un calcolo “politico”: non riuscendo a provare i gravi delitti di cui Scarface era sicuramente responsabile si studiò a tavolino la maniera per portarlo davanti ad un giudice per una questione di tasse non pagate. Molti anni dopo, negli uffici della Procura di Milano, arrivò la notizia che Silvio Berlusconi si era interessato, con una telefonata in Questura, del caso di una minorenne araba (che aveva piccoli guai con la giustizia) e che aveva mandato Nicole Minetti (una chiacchierata consigliera regionale eletta nel listino di Roberto Formigoni) a prenderla in consegna.

Ovviamente non conosciamo le considerazioni e i commenti svolti dai pm in quella circostanza. Immaginiamo però che si siano detti con una certa soddisfazione: “Questa volta lo teniamo per le palle. A Napoli l’ha scampata bella con la storia di Noemi. Ma a noi non sfuggirà”. Da quel momento si mise in moto una delle più costose e vaste indagini giudiziarie che le cronache ricordino, con l’impiego di uomini e donne dei corpi di polizia giudiziaria, intercettazioni, pedinamenti e quant’altro avrebbe meritato una vera e propria guerra contro Cosa Nostra: un enorme dispiegamento di forze al solo scopo di sputtanare il presidente del Consiglio in carica. Al riparo del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale venne deciso che toccava alla magistratura liberare l’Italia dal nostro Al Capone. Solo che Berlusconi non era Al Capone, ma il presidente del Consiglio.

Non era la prima volta che le procure, soprattutto quella di Milano, ci provavano. Tanto che l’apparato giudiziario è riuscito a condannare per evasione fiscale proprio l’ex Cav. che pure è uno dei maggiori contribuenti italiani, assolvendo, poi, per quello stesso reato Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi, rispettivamente presidente e vice presidente di Mediaset. Ma il caso Ruby è emblematico, perché ha rappresentato il tentativo di trasformare in reati penali delle povere miserie umane di un vecchio e ricco signore, sofferente – lo ha scritto la ex moglie – di ossessioni di natura sessuale che cerca nella giovinezza e nella bellezza femminile delle conferme contro l’inarrestabile declino dell’età (se non fosse così Berlusconi non andrebbe in giro conciato come uno spaventapasseri, non indosserebbe tutte le mattine una sorta di maschera, ma accetterebbe di essere calvo e canuto, di esibire le rughe sulle guance e le borse sotto gli occhi).

L’incidente con la ragazza marocchina è, a suo modo, paradigmatico. Il capo di un governo di un grande Paese, in missione all’estero, era raggiungibile sul cellulare dalle ragazzotte del suo giro, che, evidentemente, erano a conoscenza del suo numero riservato. Preoccupato delle possibili dichiarazioni di Ruby si attivò per sottrarla agli inquirenti, inventandosi – da bugiardo incallito – la bufala della parentela con Mubarak. Da lì ebbe inizio un’indagine giudiziaria che mise in luce i festini ad Arcore, il condominio delle “Olgettine”, una vera e propria contabilità separata per la gestione degli spettacoli burlesque, di cui era incaricato un ragioniere di fiducia. Tutto ciò si collegava con quanto accadeva nella “succursale” romana di Palazzo Grazioli, fornita di escort (che non trovavano di meglio che fotografarsi reciprocamente nei bagni e registrare le parole scambiate nell’intimità) da un prosseneta barese, a cui l’ex Cav trasferiva, in nero, un vero e proprio assegno di mantenimento.

La domanda è: poteva un personaggio, vittima di queste turbe senili, commiste di tragedia umana e di comicità, guidare un Paese come l’Italia? L’opinione pubblica mondiale aveva smesso di prenderci sul serio, ma gli italiani non avevano cessato di votarlo. E allora è normale e corretto che i giudici si arroghino il diritto di stabilire chi debba governare il Paese trasformando dei comportamenti anomali in reati? E’ giusto e corretto voler dimostrare che un vecchio libertino è anche un delinquente, quando col suo stile di vita non fa del male a nessuno? E’ ridicolo accusare una persona di indurre delle prostitute professioniste a… prostituirsi o a sfruttarle quando sono loro a servirsi di lui. Dopo la sentenza d’appello nel caso Ruby, la procura di Milano, se volesse lucidamente trarre un bilancio della sua guerra ventennale a Berlusconi, dovrebbe riconoscere che, con i suoi teoremi, è riuscita a trasformare un personaggio discutibile in un perseguitato a causa di giustizia.

A quei milioni di elettori che hanno sempre perdonato al Cavaliere un modello di vita tanto evidente e palese da non aver bisogno della Guardia di Finanza per scoprirlo – e che non hanno mai smesso di votarlo – hanno regalato un martire.

Quando si violano le regole elementari del vivere civile bisogna aspettarselo.

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