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Cari leopoldini di centrodestra, non vi capisco sulla giustizia

Ho letto con interesse l’articolo di Lorenzo Castellani su Formiche.net in cui interloquisce con alcune tesi che Raffaella Della Bianca e io avevamo esposto. Devo premettere che ho simpatia per Castellani e i suoi giovani amici che hanno messo (opportunamente) un po’ di pepe nella discussione di un centrodestra duramente provato e, inoltre, mi hanno lasciato sfogare sul loro sito (lacosablu) per alcuni mesi i mal di pancia che la discussione pubblica nazionale (e in qualche caso internazionale) mi provocava.

Credo sia utile il metodo che il giovane amico propone: verificare oltre ai punti di convergenza anche quelli di dissenso per cercare di arrivare veramente al cuore dei problemi. Cercherò di concentrare le mie osservazioni su tre punti castellaniani: la liberalizzazione dell’economia da tasse e servitù statalistiche, il come fare i conti con i don Rodrigo del centrodestra e infine la riforma della giustizia.

Sul primo punto per non essere uno di quei tipi che dichiarano con grande enfasi di volere “l’aria pulita, la gente felice e la pace nel mondo”, bisogna richiamare innanzi tutto il cosiddetto popolo delle partite Iva alla dura realtà che senza riforma dello Stato non c’è spazio per alcuna vera riforma fiscale o regolamentare. Se, per esempio, non si definisce quali sono gli ambiti della nostra sovranità nazionale rispetto alla burocrazia europea e al sistema egemonico tedesco, le nostre discussioni sono solo “suono e furia” come avviene con più di un discorso di Matteo Renzi alla fine produttivo se non di nulla comunque di veramente molto poco. Certo ci vorrebbe anche un’ideina sull’Europa (differente dalla favoletta degli “Stati Uniti d’Europa” che oggi sarebbero respinti non solo dalla Gran Bretagna ma anche dalla Francia e dall’Olanda se non dalla Polonia). Ma per partecipare alla discussione sull’”Europa che c’è”, serve uno Stato non dico forte come quello di Berlino o Parigi ma almeno come quello di Madrid o Varsavia. Su questa esigenza di una nuova sovranità nazionale siamo d’accordo Castellani e io, però bisogna ricordarsi che fare programmi economici separatamente o prima della riforma dello Stato (e in questa va compresa naturalmente quella di regioni oggi allo sbando ma elemento centrale per il controllo di una delle primarie fonti di spesa come quella della sanità) significa costruire scelte sulla sabbia (così in parte è avvenuto con i governi di centrodestra tra il 1994 e il 2011). Se si vogliono organizzare movimenti tematici su filoni economico-sociali bisogna circoscriverli, non generalizzarli: per esempio puntando sulla contrattazione aziendale, sulla separazione del credito commerciale da quello speculativo, su l’uso delle università come incubator di imprese e lavoro  e così via.

Non capisco bene, poi, la questione dei “don Rodrigo” del centrodestra. Mi pare che oggi il problema sia ricostruire il centrodestra possibile per dare rapidamente un’alternativa al rischio del partito unico renzista. Mi pare che questo non si possa fare senza far entrare in circolazione nuove idee e nuove energie. Mi pare che per la prima volta, con l’orizzonte delle primarie per le regionali, questo diventi possibile in modo diverso dal passato. Si vuol percorrere questa via non “superando” ma “buttando via”/“abbattendo” il vecchio”?

Abbiamo detto che Renzi e la sua Leopolda non possono essere “il modello” perché a destra non c’è un campo di forze che permetta operazioni analoghe a quelle fatte nel Pd, ma è comunque opportuno ricordare come il “fiorentino nazionale” abbia accettato di “perdere” in modo non del tutto limpido con il “vecchio” Pierluigi Bersani per poter poi giocarsi la partita finale sulla leadership. Con primarie regionali e liste civiche (per chi non si riconosce nei partiti esistenti del centrodestra) può definirsi uno spazio per far correre “il nuovo”. Poi, però, si dovrà dimostrare (in questo senso analogamente a Renzi) di avere più filo del “vecchio” (per esempio pure contribuendo a costruire i famosi auspicati movimenti tematici). Se invece si parte pensando che la questione sia solo quella di amputare da subito un pezzo dello schieramento “che c’è”, allora del renzismo si prende la buccia e non la polpa.

Veniamo infine al punto che proprio non ho capito nel ragionamento di Castellani: siccome Silvio Berlusconi ha pasticciato troppo sulle questioni della giustizia di questo tema non ci si deve occupare. Mi pare che il difetto principale del berlusconismo (in parte giustificato dal fatto che cavalcare una tigre sia sempre assai pericoloso come peraltro si è potuto fattualmente constatare) sia stato non impostare una vera riforma della giustizia ma impegnarsi a tenere la magistratura a bada come in parte sta facendo Renzi sia pure con una retorica opposta (garantista quella del centrodestra, giustizialista quella di fondo del centrosinistra). Sul modo in cui si è sviluppato questo processo occorrerebbe una lunga digressione: a partire dal fatto che il centrodestra reale (Lega, Msi, Forza Italia) si è organizzato fuori dallo stato reale (magistrati, apparati, Bankitalia, Quirinale, Rai, Csm, Corte costituzionale, Consiglio di Stato, sistemi di relazioni con gli establishment nazionale e stranieri e così via) e ciò lo ha messo sulla difensiva ogni volta che si arrivava ad affrontare riforme che mettevano in gioco la costituzione e gli assetti di fondo dello stato.

Ma oggi la lunga stagione post 1994 si è esaurita e o si accetta il partito unico renzista con un orizzonte di più o meno rapido ulteriore declino della sovranità nazionale, o si sfruttano le aperture stesse offerte dal renzismo e si pone con forza l’obiettivo della riforma dello stato. Come di quest’ultima Castellani pensi che non possa far parte la riforma della giustizia, mi sorprende.

Anche gli ultimi fatti di cronaca, la corruzione che prima della politica è stata della magistratura (e degli apparati dello Stato a questa oggi sottomessi), le procure che si dividono tra chi reprime i reati di certi ambienti cattolici e chi quelli dei vecchi democristiani per arrivare poi a risse nel Csm sedate da coraggiosissime (come sempre) “lettere segrete”. Tutta la cronaca recente spiega come il cuore della disgregazione crescente dello Stato (e quindi della sua esterosubordinazione) nasca all’interno della “magistratura che c’è”.

Gli storici che studieranno la liquidazione extrademocratica del governo Berlusconi del 2008, oltre agli evidenti limiti-errori del centrodestra, esamineranno con quanta cura siano state eliminate le filiere patriottiche presenti ancora nella nostra Italia (i Mori, i Pollari, i Bertolaso, lo scardinamento di Finmeccanica e quello ampiamente tentato dell’Eni, il vice capo della Polizia messo sotto accusa – poi assolto – prima della nomina del nuovo capo, la liquidazione –con successiva assoluzione – di ogni filiera nazionale nelle telecomunicazioni) per domare la nostra sovranità.

Pensare di riformare questo Stato senza separare le carriere togate, senza sottrarre almeno parzialmente alla corporazione il controllo deontologico e disciplinare sui suoi membri, senza creare un sistema di check and balance che valga anche per la magistratura (e che sia poi la base anche per pene più rapide e più certe), è una barzelletta.

Allora tanto vale iscriversi al partito unico renzista, sperare di potersi godere, senza tragedie a breve termine, gli anni della propria pensione, auspicando che nel medio periodo cari giovani amici – che pur mi paiono buoni leoncini in formazione – smettano di comportarsi come gattini (ciechi).

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