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Che cosa consiglia il Papa ai politici. Parla monsignor Leuzzi

“Eletti per servire” è il titolo del libro curato da monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo di Roma e cappellano della Camera dei deputati, che raccoglie i commenti di un nutrito numero di parlamentari italiani presenti, il 27 marzo scorso all’alba, alla messa che Papa Francesco tenne per loro in San Pietro.

Un evento che ha fatto notizia, anche per i toni usati dal Pontefice nell’omelia, al termine della quale non pochi deputati si sono detti “scossi”, conversando con i giornalisti che li attendevano sul sagrato. Il volume, edito da Cantagalli, sarà presentato martedì alle ore 19 presso l’Auditorium dell’Ara Pacis, in via di Ripetta 190 a Roma. Formiche.net ha avuto una conversazione con il curatore, mons. Leuzzi, sugli aspetti salienti del libro.

Eccellenza, uno degli aspetti più rilevanti messi in luce nel volume è la sottolineatura del rapporto del parlamentare con Cristo. Anche molti parlamentari atei, o comunque non cattolici, si sono sentiti toccati dalle parole del Papa pronunciate il 27 marzo scorso. Un fatto inedito?
Credo che la partecipazione numerosa a quella messa stia a indicare il grande interesse dei parlamentari nei confronti della persona e del magistero del Papa. Direi che non si è registrata solo una semplice esperienza formale, bensì s’è trattato di un qualcosa che è andato più in profondità. Il Papa ha posto una questione non nuova, ma in passato questa non era stata così dirimente. Sostanzialmente, prima ancora di ogni impegno politico e culturale – e il discorso potrebbe allargarsi anche al campo ecclesiale –, ciò che conta è il rapporto del parlamentare con Cristo. E’ un rapporto tutto personale e questa è una novità. Non nel senso che non se ne è mai parlato, ma molte volte il rapporto istituzionale del parlamentare con l’istituzione Chiesa ha preso il sopravvento, e questo per ovvi motivi, a cominciare dal fatto che il parlamentare rappresenta un’istituzione e quindi gli è impossibile non tenere conto che deve rapportarsi con un’altra istituzione, collaborare concretamente con essa. Accanto a tutto questo, però, il Papa ha sottolineato che la vera anima di tale rapporto è il rapporto personale con Cristo. Senza questo, non si riesce a cogliere con pienezza la dimensione del servizio: l’uomo delle istituzioni è colui che deve interpretare le problematiche del suo popolo. Si può sostenere, quindi, che tenendo conto della situazione economica attuale, per il Pontefice diventa decisivo il lasciarsi interpellare da Cristo, il rapporto personale con cristo. Non c’è, dunque, solo un rapporto privatistico.

Fondamentale, quindi, pare essere la necessità di recuperare quella “dimensione sociale” del rapporto personale con Gesù su cui più volte s’è soffermato Francesco.
Se il Papa ha insistito sulla coerenza tra l’esperienza della fede e i propri comportamenti, questo vale per tutti e a maggior ragione per coloro che devono servire per mandato. Per quanti, cioè, sono chiamati a rappresentare le istituzioni. Pensare che il rapporto con Cristo sia privo di contenuti, è sbagliato. E’ necessario recuperare la dimensione sociale del rapporto personale con Gesù. Nella Evangelii Gaudium, il Santo Padre insiste molto sulla dimensione sociale nella evangelizzazione. Spesso le parole del Papa possono sembrare forti, ma direi che oggi più che mai – di fronte alla crisi – se vogliamo ricostruire bisogna partire non da esperienze pianificate a tavolino, bensì da un incontro quanto più ampio e condiviso da parte dei cristiani con Cristo.

Un altro elemento centrale è l’inscindibilità tra la dimensione privata e pubblica della fede. E’ così?

Il Papa ha commentato il testo delle letture, ma non credo che avrebbe fatto diversamente se davanti a sé avesse avuto altri soggetti anziché i parlamentari italiani. Il problema è quello della inscindibilità tra dimensione privata e pubblica della fede. Se vale per tutti i battezzati, a maggior ragione vale per chi ha ricevuto un mandato, per chi è stato chiamato a guidare le istituzioni. Certo, non è facile vivere questa coerenza tra esperienza della fede ed esperienza del pubblico. Ecco perché è necessario far sì che non si determini una separazione tra il parlamentare e la comunità che lo ha eletto. Oggi i parlamentari vivono questa separazione, la avvertono. C’è disagio nel vivere questo rapporto. E l’omelia di Francesco invita a non isolarsi rispetto alla comunità, alla quale il parlamentare deve riferire il proprio comportamento e le proprie scelte, ma dalla quale deve essere aiutato e sollecitato a portare avanti la sua esperienza di fede. Senza testimonianza e gesti concreti, ogni buon discorso può restare nelle buone intenzioni, senza incidere sull’opinione pubblica.

Il Papa distingue la figura del peccatore da quella del corrotto. Lo ha fatto più volte, nelle omelie mattutine a Santa Marta, durante la messa con i parlamentari. Perché insiste così tanto su questo aspetto?
Quando si parla di corruzione non si comprendono solo i reati di cui apprendiamo dai giornali. C’è un bellissimo Angelus in cui il Papa spiegava la differenza tra peccatore e corrotto. Il peccatore si rende conto che ha peccato, il corrotto no, per cui continua a rimanere in errore, pensando addirittura di comportarsi bene. Per questo nell’omelia del 27 marzo Francesco ha riproposto l’argomento. Gli interlocutori di Gesù, tra cui i farisei, non riuscivano a capire che la sua persona era qualcosa di diverso rispetto agli altri, alle altre figure di profeti: nonostante i miracoli continuavano a non credere in lui. Il corrotto pensa che il suo comportamento sia giusto, e non chiede scusa. Non vedere il male è una delle grandi questioni davanti alla quale la Chiesa e gli uomini di buona volontà devono impegnarsi per cercare una soluzione.

Forte è risuonato poi il richiamo a vivere la politica come carità. Eppure, non si tratta di un appello nuovo…
Politica come carità è un’affermazione di Paolo VI, quindi risale a tempi non sospetti. La via fondamentale per vivere l’esperienza politica come carità è il rapporto con la comunità. Io credo che senza questo rapporto sia molto difficile superare la dimensione che Francesco chiama ideologica. E molte volte l’ideologia fatica a diventare carità. Ritengo sia necessario rilanciare il senso della partecipazione. in un mondo così globalizzato non si può costruire nulla senza la partecipazione. Il rappresentante, colui che cioè ha ricevuto un mandato, deve essere il modello della partecipazione. Ma una partecipazione che sia tale per il bene comune, non per se stesso. Una politica diventerà sempre più carità quanto maggiore sarà il senso della partecipazione. E più si lavora per non creare partecipazione, più si creano le premesse perché la politica si allontani dalla carità.



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