Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha terminato ieri il suo viaggio in Cina. L’accordo più rilevante tra i due Paesi riguarda la cessione del 35% di Cdp Reti (Snam e Terna) a State Grid of China.
Un’intesa che lo storico ed economista Giulio Sapelli (nella foto) in una conversazione con Formiche.net definisce frutto di rapporti consolidati dal punto di vista economico, ma un sentiero inesplorato da quello geopolitico.
Professore, qual è oggi lo stato dei rapporti tra Italia e Cina?
Mi sembra più che buono dal punto di vista commerciale, anche se squilibrato nei confronti di Pechino. D’altronde se ne parla oggi, ma è un processo che ha necessitato di molti anni per maturare e che è iniziato grazie a Romano Prodi. L’ex presidente del Consiglio è uno dei punti di riferimento nei rapporti con l’Oriente. Senza dimenticare che il nostro Paese è stato uno dei dei maggiori sponsor dell’entrata della Cina nell’Onu e, una curiosità che non molti conoscono, la copertina del Libro Rosso di Mao è stata realizzata da un’azienda italiana.
Fin qui i rapporti economici. Come valuta invece l’intesa geopolitica tra i due Paesi?
C’è un dialogo, ma si ferma a un certo punto, per ovvi motivi. Sicuramente non è e forse non sarà mai al livello di quello con gli Stati Uniti, che non devono aver preso benissimo alcuni affari siglati dal ministro Padoan nel suo recente viaggio.
A proposito della missione, che ne pensa dell’acquisizione da parte di State Grid of China di una quota rilevante – anche se minoritaria – di Cdp reti, dunque anche di Snam e Terna?
Dal punto di vista economico è un buon accordo, perché porta liquidità e non offre il controllo ai cinesi. Dall’altro lato però non bisogna dimenticare che quello energetico è un asset fondamentale per l’interesse nazionale.
Come mai non ci sono partner europei o occidentali disposti a investire in asset geopoliticamente strategici come gli asset legati all’energia?
L’Italia è una nazione appetibile per gli investimenti e non è solo terra di conquista. Noi compriamo più aziende di quante ne cediamo, lo dicono i dati. Fatta questa premessa, bisogna però evidenziare come non esista mai un ragionamento di sistema sulla cessione di rami importanti d’azienda. In altri Paesi è normale che prima di vendere asset strategici ci sia un confronto tra Governo, Ministero degli Esteri, associazioni di categoria e via discorrendo. Ma non per essere controllati, ma per valutare la soluzione migliore dal punto di vista dell’interesse nazionale. In Italia si va ognun per conto suo, ecco perché accade che si ceda una quota così rilevante ai cinesi, senza considerare altre soluzioni, che pure avrebbero potuto essere trovate.
Che mire reali hanno i cinesi?
Pechino vuole accrescere il proprio know how ed entrare in possesso di tecnologie. Ma anche dotarsi di manager, ricercatori e manodopera altamente qualificata di cui c’è scarsità nel Paese.
Perché proprio l’Italia? È tornata ad essere una “frontiera” come ai tempi della Guerra Fredda?
L’Italia svolge un ruolo molto importante dal punto di vista geopolitico, nonostante la scarsa attenzione dedicata a questo tema dalla nostra classe dirigente.