Sul web, negli ultimi giorni, è stata riportata la “scottante notizia” riguardo alla fusione di Pechino con Tianjin e la provincia di Hebei, questo per dar vita ad una megalopoli da 110 milioni di persone. La stampa estera parla dell’evento da mesi, e non solo, l’attenzione mediatica è concentrata su un evento esclusivamente di facciata, girando attorno al vero dramma della crisi demografica presente in Cina ai giorni nostri.
In Cina, il presidente Xi Jinping, ha dato il via alla realizzazione di quello che risulterà essere un complesso urbano con una popolazione cinque volte superiore all’area metropolitana di New York. L’opera prevede la creazione della regione Jing-Jin-Ji (abbreviazione di Pechino-Tianjin-Hebei): una megalopoli senza rivali al mondo. Geograficamente parlando la zona è molto vasta, inadatta ad essere definita un unico complesso (la superficie risultante sarebbe superiore a quella dell’Uruguay, due terzi della superficie del nostro “stivale”), tuttavia, grazie ai treni ad alta velocità i residenti possono percorrerla in poco più di mezz’ora (distanze da oltre 150 chilometri); basti pensare alle nostre città, infinitamente più piccole, ma con tempi di percorrenza maggiori. Per Jing-Jin-Ji è infatti in programma la costruzione di un enorme anello autostradale che collegherà l’area urbana (940 chilometri); quest’opera chiaramente è un riferimento agli antichi fasti dati dall’edificazione della Grande Muraglia.
Oltre ad un fine di prestigio internazionale, il compimento dell’opera secondo i funzionari, apporterebbe numerosi miglioramenti al territorio in termini di infrastrutture e viabilità; Tianjin è una città costiera a 80 miglia da Pechino, la fusione tra le due porterebbe alla semplificazione del commercio via mare tra le regioni donando alla capitale uno sbocco sul mare. Sempre secondo i funzionari, la manovra alleggerirà la pressione demografica su Pechino, contrastando il grave problema dell’inquinamento dell’aria cittadina. Per favorire l’omogeneità del territorio, alcuni organi amministrativi saranno decentrati dalle loro sedi.
La dura realtà viene riscontrata, tanto per cambiare, nella popolazione, priva di voce in capitolo ed impreparata a subirne le conseguenze. I prezzi degli appartamenti sono saliti del 5% solamente all’annunciarci del progetto; percentuale che chiaramente non si è riflettuta sugli stipendi. Chiaramente i prezzi degli immobili sono in continua ascesa e sicuramente questo fenomeno non svanirà tanto lentamente. Va considerato inoltre che il progetti di alleggerire la pressione demografica di Pechino è solo dimostrabile in linea teorica; potrebbe verificarsi esattamente il contrario in quanto la regione di Hebei è molto povera, probabilmente, grazie alla più facili vie di comunicazione, saranno i poveri operatori siderurgici di Hebei a trasferirsi a Beijing e non viceversa. Altra dramma lo stanno vivendo i residenti delle zone periferiche, costretti ad essere spostati per far spazio a grandi colate di cemento.
IL PROBLEMA DEMOGRAFICO
La crescita demografica è pericolosa tanto quanto il surriscaldamento del pianeta, e i cinesi lo sanno meglio degli altri dato che per decenni hanno cercato di contenere le nascite con la politica del figlio unico. Ciononostante nel loro Paese la pressione demografica sull’ambiente è spaventosa. A render pubbliche le statistiche dell’orrore è lo stesso ministero della Sanità di Pechino. In Cina negli ultimi 42 anni, stando ai dati diffusi in questi giorni, sono stati praticati 336 milioni di aborti e 196 milioni di sterilizzazioni.
Quella legge, oltre a negare a madri e padri il naturale e inalienabile diritto alla procreazione, è anche la causa, come stanno scoprendo i cinesi, di una serie di aberrazioni demografiche. Situazioni che minacciano di trasformarsi nel principale freno allo sviluppo e alla modernizzazione del Paese. La prima e la più grave è il rapido invecchiamento della società. Nel 2000 i cinesi ultrasessantenni erano il 10,3, oggi sono circa il 13,3 per cento. Nello stesso periodo la popolazione sotto i 14 anni è declinata dal 23 al 17 per cento. Secondo questi dati, dunque, la popolazione cinese non ricorda più quella di una società in via di sviluppo, ma piuttosto quella di una nazione avanzata.
Il problema principale non riguarda il numero di abitanti in se, in quanto possono essere sfruttati come forza lavoro, ma soprattutto l’impossibilità di sfamare e garantire un lavoro a questa moltitudine di individui. Come si è parlato già in precedenza si è adottata la politica del figlio unico per ridurre il boom demografico. Questo non ha portato tuttavia il benessere desiderato, innanzitutto per via della gran maggioranza di persone anziane mantenute da un numero sempre più esiguo di giovani lavoratori ed anche per via della disparità tra i sessi. Tra 15 anni, con questo passo, la Cina avrà circa 30 milioni di maschi in età da matrimonio in più rispetto alle donne.
La Cina, insomma, anche in materia di popolazione e nascite, sembra stretta ancora una volta tra l’incudine e il martello: tenere testa ai tumultuosi cambiamenti sociali delle politiche adottate dal governo, e mantenere un tasso costante di crescita economica.