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Ecco perché la minoranza del Pd vuole sabotare l’Italicum

Gli ostacoli sul percorso di riforme istituzionali promosse da Matteo Renzi sembrano aumentare di giorno in giorno. Per la verità, a turbare i pensieri del premier non è tanto la fronda sempre più vasta e trasversale di parlamentari ostili al nuovo Senato privo di legittimazione popolare.

Un’ostilità mai sopita

L’autentica insidia per il fautore della “Rottamazione” è costituita dalla “pancia profonda” del Nazareno, da quel blocco culturale legato a una visione novecentesca di partito pienamente socialista, radicato nel territorio, con un forte apparato organizzativo e una marcata identità di sinistra. Mondo che non ha smesso di coltivare un’avversione verso un “corpo estraneo” alla politica progressista e un PD liberal di stampo anglo-americano.

Le manovre della minoranza PD

A rappresentare tale stato d’animo è la minoranza interna che si riconosce in Pier Luigi Bersani e Gianni Cuperlo. Un fronte combattivo che alla vigilia del voto per il Parlamento europeo ha sperato di neutralizzare e ridimensionare la leadership di Renzi.

Ma che, assistendo al suo trionfo, è stata costretta ad adeguarsi al nuovo corso stabilendo una tregua con il segretario. O camuffandosi da supporter di chi con tanto vigore aveva osteggiato fino a pochi mesi fa. Lo scopo è preservare la propria identità in vista di un riscatto alle prime serie difficoltà del governo.

La fronda contro l’Italicum

Terreno propizio per testare questa capacità politica è il confronto sulla riforma elettorale. E così, mentre Renzi tiene sotto scacco l’intero centro-destra minacciando un patto con i Cinque Stelle per il ritorno ai collegi maggioritari del Mattarellum se Forza Italia proseguirà nelle oscillazioni sul Senato, Bersani e Cuperlo hanno assunto nel PD la guida della fronda contro l’Italicum.

No a una legge da “democrazia padronale”

L’ex numero uno del Nazareno ha avanzato critiche radicali verso punti nevralgici del testo messo a punto nell’incontro tra Renzi e Silvio Berlusconi.

Ai microfoni di Sky Tg24 ha puntato il dito contro le “soglie di accesso troppo elevate, l’esclusione della rappresentanza parlamentare per i gruppi che non raggiungono il tetto del 4,5 per cento dei voti pur contribuendo alla vittoria della propria coalizione, e le liste bloccate che ostacolano la facoltà di scelta del candidato ad opera dei cittadini”.

Caratteristiche che ai suoi occhi prefigurano una “democrazia padronale in cui un capo, chiuso in una stanza, nomina i deputati dell’unica Camera elettiva e i consiglieri regionali a Palazzo Madama. Designando poi, grazie al premio di maggioranza, il Presidente della Repubblica, i giudici della Corte Costituzionale, i componenti del Consiglio superiore della magistratura”. Argomentazioni alle quali 3 mesi fa, intervistato dal programma “Bersaglio mobile” su La7, Bersani aveva affiancato il timore per una vittoria del M5S al ballottaggio.

Una riforma incostituzionale

Altrettanto impietosa la stroncatura di Cuperlo, che nella trasmissione di Radio Due “Un giorno da pecora” ha apertamente parlato di “rischio costituzionalità della legge approvata dall’Aula di Montecitorio”.

Un testo da smantellare

Le sue contestazioni di merito risalgono a 4 mesi fa. E sono state enucleate in due interviste a Repubblica e all’Unità.

Nel mirino dell’ex presidente del Partito democratico rientrano l’intreccio di soglie di sbarramento che penalizza la rappresentanza e rischia di escludere dal Parlamento forze con 3 o 4 milioni di voti; la mancata partecipazione al riparto dei seggi per i gruppi che portano consensi all’alleanza ma non raggiungono il quorum per entrare nella Camera; la soglia del 37 per cento richiesta per conquistare il bonus di governabilità al primo turno, ritenuta troppo ridotta rispetto al 40; la permanenza delle liste bloccate; l’impossibilità di sapere dove scatta l’elezione dei candidati vista l’attribuzione dei seggi a livello nazionale.

Una riforma ritagliata sulle aspirazioni del PD di Renzi

Le riflessioni critiche dei due leader della minoranza del PD toccano dunque il combinato disposto di un premio di governabilità facilmente raggiungibile da una formazione che con il voto europeo ha saputo per la prima volta interpretare la vocazione maggioritaria, di clausole di accesso fortemente penalizzanti per i gruppi minori alleati, di liste bloccate ancorché corte di candidati.

Sono i contorni di una legge che si attaglia alle ambizioni e alle esigenze del Partito democratico di Renzi. E che nell’eventualità altamente probabile di una sua affermazione nel voto politico nazionale consacrerebbe la guida dell’ex primo cittadino di Firenze, rendendolo il vero dominus della maggioranza e del governo.

Un governo monocolore

Il PD – forte di un lusinghiero 41 per cento nella recente tornata europea – potrebbe fare a meno di insidiose alleanze con forze di centro e di sinistra restando nettamente favorito per la vittoria già al primo turno.

Se tuttavia il premier volesse allargare i confini del proprio campo a ciò che resta di Scelta civica e di SEL, i due gruppi satelliti rischierebbero di svolgere il ruolo di “portatori d’acqua” al mulino del Nazareno, visto che i loro consensi sarebbero utili alla coalizione ma l’asticella del 4,5 per cento dei voti resterebbe un miraggio per entrambi.

È plausibile pertanto lo scenario di un governo mono-partitico del PD, libero dai vincoli dei negoziati logoranti tra le componenti di un’alleanza. E capace, grazie a un robusto premio di maggioranza, di esplicare al meglio e nella misura più incisiva la propria azione riformatrice.

Gruppi parlamentari scelti dal leader

L’altro pilastro della legge giunta all’esame di Palazzo Madama, l’assenza di preferenze per la scelta dei rappresentanti, permetterebbe al premier e alla sua cerchia ristretta di giocare un ruolo cruciale nella formazione delle liste di candidati.

È vero che il Nazareno ha promesso il ricorso a consultazioni preventive per garantire la designazione popolare degli aspiranti parlamentari. Ma, così come avvenuto nell’inverno 2012 con il PD a guida Bersani, la scelta popolare sarebbe fortemente condizionata dall’impronta di Renzi.

Al contrario, l’istituto delle preferenze consentirebbe alla sinistra del Nazareno di capitalizzare un robusto radicamento territoriale-sociale e di conservare una rappresentanza considerevole nei gruppi parlamentari.



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