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Perché Federmanager e Unindustria hanno allestito un’Officina delle relazioni industriali

Nell’Italia in cui la Fiat di Sergio Marchionne ha abbandonato Confindustria si può parlare di un modello di relazioni industriali moderne, fondato sulla valorizzazione del capitale umano come avvenuto in Germania?

È l’interrogativo cui tenta di fornire risposta il Progetto Officina delle Relazioni Industriali promosso da Federmanager, Unindustria e Fondirigenti. Un’iniziativa che punta ad analizzare e far crescere la consapevolezza collettiva sugli effetti dei nuovi rapporti tra parti sociali nella competitività dei territori.

La giusta flessibilità

Tra il 2011 e il 2014, ha spiegato il professore di Diritto del lavoro presso l’Università La Sapienza di Roma Arturo Maresca, le rappresentanze di imprenditori e sindacati hanno costruito un assetto di relazioni industriali fondato sulla contrattazione liberamente stipulata nei comparti produttivi.

Finora però le strategie sul lavoro lavoro si sono focalizzate su chi è già interno alle realtà aziendali, mentre è necessario mettere in campo politiche attive per i giovani e gli osutsider. Ragionando, rimarca lo studioso, su una flessibilità funzionale – mansioni, orari, retribuzione – rispetto a quella contrattuale e in entrata.

Non contrapporre salario minimo e contrattazione collettiva

Un approccio empirico, rileva il direttore Area Lavoro e Welfare di Confindustria Pierangelo Albini, che nel “mondo a tempo determinato e a geometria variabile” in cui viviamo richiede una comprensione penetrante delle esigenze diffuse, una capacità di adattamento alle trasformazioni economiche. Per tali motivi “le regole sulla rappresentanza devono basarsi sul rispetto della libera scelta dei lavoratori e della volontà della loro maggioranza per convalidare e accettare i contratti”.

A suo giudizio non ha senso parlare di salario minimo garantito per legge, soprattutto se ciò comporta lo smantellamento dei contenuti del contratto collettivo di lavoro. È il provvedimento assunto dal governo tedesco e che “rischia di provocare un esodo produttivo all’estero e un aumento della disoccupazione”.

Puntare sul capitale umano

La strada virtuosa che potrebbe intraprendere il nostro paese è stata illustrata da Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica.

Realtà che nel proprio perimetro ha lanciato una sfida alla FIOM di Maurizio Landini creando un modello di relazioni industriali inclusivo, nei rapporti con le organizzazioni sindacali e in quelli con le risorse professionali interne: “Perché bisogna remare tutti nella stessa direzione e perché solo l’investimento sulla persona può portare a innovazione tecnologica e crescita della competitività”.

Puntare sul capitale umano e promuovere la più ampia “flessibilità positiva” nel mercato lavorativo vuol dire per il manager incoraggiare il salario variabile di produttività attraverso robuste agevolazioni fiscali.

Tutelare le persone, non le aziende obsolete

Proposta che trova adesione nel ragionamento del direttore generale di Unindustria Maurizio Tarquini: “Nel mondo di oggi il contratto a tempo indeterminato è vincolato alla precarietà della vita economica. La rigidità delle aziende che duravano in eterno e il confronto ideologico tra ‘padrone e lavoratori’ appartengono al passato”.

Per questa ragione il rappresentante degli imprenditori del Lazio ritiene preziosa la sinergia tutta italiana tra contrattazione collettiva e relazioni decentrate, così come il ruolo dei corpi intermedi di cui l’attuale governo preferisce fare a meno. Altrettanto essenziale ai suoi occhi è il coraggio di tutelare e promuovere le opportunità professionali dei lavoratori nelle fasi di crisi, anziché difendere tramite sussidi pubblici industrie decotte e posti fittizi.

Il valore della cultura manageriale

Ma per sviluppare una moderna cultura di impresa, ha osservato il presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni, bisogna mettere in rete le realtà produttive frammentate tipiche del nostro capitalismo familiare.

E per farlo, precisa, non si può prescindere da due requisiti fondamentali. Il primo è il valore del capitale umano, “come spiegato da Romano Prodi nel progetto di politica industriale prefigurato sul Messaggero”. Il secondo risiede nel patrimonio enorme di conoscenze e competenze dei manager di impresa, come testimonia un saggio di recente pubblicazione di cui Formiche.net ha parlato.

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