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Il mondo musulmano è preoccupato dal radicalismo islamico

Secondo uno studio del PEW Center, autorevole think tank di Washington, il mondo è sempre più preoccupato dal radicalismo islamico: e ad avere i maggiori timori, sono proprio i Paesi a maggioranza musulmana  (qui i grafici).

In Medio Oriente la paura dei fondamentalisti cresce tra la popolazione libanese (dall’81% al 92 in un anno), così come in Tunisia (80), Egitto (75) e in Giordania (62). Anche in Turchia si è passati dal 2013 in cui soltanto il 37% era preoccupato dall’estremismo islamico nel proprio paese, al 50 per cento di quest’anno.

Le ragioni sono varie, molte localizzate, come per esempio in Turchia, dove le cause dell’aumento dello stato d’allarme potrebbero essere collegate all’ampio flusso di armi e combattenti jihadisti provenienti da ogni parte del mondo e diretti in Siria. Uno dei fronti del conflitto siriano si trova ai bordi del confine turco, con tanto di pericolosi sconfinamenti – un paio di mesi fa, i ribelli conquistarono lo sbocco sul mare proprio attraverso una spiaggia di confine, e in alcuni dei video postati su Youtube, le immagini riprendevano i ribelli mentre facevano il bagno in un’area che a tutti gli effetti appartiene alla Turchia.

La guerra civile in Siria. è sicuramente tra le cause, la principale: ma c’è dell’altro. Perché anche Bangladesh, Malesia e Indonesia hanno fatto registrare un aumento delle preoccupazioni tra i propri abitanti. Uno dei pochi stati che frena leggermente nei timori intorno all’estremismo è il Senegal: circostanza che può essere fatta rientrare nella fiducia riposta nell’intervento militare francese in Mali (condiviso dal 91% dei senegalesi) contro i ribelli anti-governativi.

Il simbolo di questo sentimento sociale è al-Qaeda: in tutti i 14 paesi esaminati dalla studio del PEW Center, l’opinione sull’organizzazione guidata adesso da Ayman al-Zawahiri è sostanzialmente negativa. Ciò, nonostante la nuova politica che il medico egiziano aveva cercato di imporre all’organizzazione: maggiore vicinanza alla gente, aiuto, ascolto, appoggio – una sorta di populismo qaedista, che avrebbe dovuto permettere alla “Base” di aumentare il proprio consenso. Ma sebbene le attività non siano diminuite, dallo Yemen al Sahel, dalla Siria al Mali, le campagne degli eserciti locali – appoggiati talvolta da quelli occidentali – hanno rappresentato una risposta forte, una reazione solida anche agli occhi delle popolazioni, che tra l’altro non ha permesso ad al-Qaeda di coltivare la propria propaganda a sufficienza. In più, va detto, che i fatti legati all’ISIS (dall’offensiva irachena fino alla proclamazione del Califfato), hanno messo la guida Zawahiri in seri problemi di autorevolezza e rappresentatività, circostanza che ha anche contribuito a relegare l’organizzazione fondata da Bin Laden ad un ruolo più marginale nel mondo jihadista.

Altro caso emblematico delle analisi del centro di ricerca guidato da Donald Kimelman, è Boko Haram in Nigeria. Il gruppo d’ispirazione salafita guidato da Shekau è stato negli ultimi mesi tra i più attivi – e sanguinari -, con l’obiettivo di annientare tutto ciò che bloccasse la strada per la costituzione di un emirato islamico nel nord del paese. Villaggi di cristiani distrutti, civili uccisi, nella promessa di ricostituire negli stati federati di Borno, Adamawa , Kaduna , Bauchi , Yobe e Kano, la legge di Allah: eppure la popolazione di queste aree, in buona parte musulmana, ha per l’82 per cento un giudizio negativo del gruppo (il dato varia poco in base alle confessioni, con i cristiani che si attestano intorno all’83 e i musulmani all’80). Solo il 10 per cento esprime compiacimento per le azioni dei Boko.

Meno del 10, invece (l’otto per cento per esattezza) è il valore dell'”opinione favorevole” raggiunta dai Taliban che operano tra Pakistan e Afghanistan – praticamente niente. E pure i gruppi politici costituiti come Hezbollah o Hamas, che nascondo le ali militari delle organizzazioni, non hanno riscontri positivi tra la popolazione.

Hez in tutto il Medio Oriente è vista negativamente: soltanto gli sciiti libanesi ne danno giudizio positivo. Stesso sentimento è espresso dalle popolazioni africane e asiatiche intervistate.

E non va diversamente con Hamas. Da quando l’organizzazione ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, i consensi sono scesi dal 62 per cento al 35 attuale. E non è bastata ad invertire questa tendenza, la rappacificazione con Fatah e l’ingresso nella maggioranza politica che sostiene il governo tecnico alla guida dell’Autorità palestinese – va sottolineato, che lo studio è antecedente all’episodio del rapimento dei tre ragazzi israeliani (con l’epilogo tragico dell’uccisione), non rivendicato da Hamas, ma di cui si pensano responsabili gruppi islamisti palestinesi nell’orbita dell’organizzazione.

@danemblog  

 

 


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