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Ecco perché la chiusura delle operazioni afghane è cruciale

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Se, come diceva il maestro della geopolitica ottocentesca, Sir Halford Mackinder, “chi tiene l’Europa Orientale comanda sullo Hearthland, chi tiene lo Hearthland comanda sull’Isola Mondiale (Africa e Eurasia) chi tiene l’Isola del Mondo comanda il mondo” allora tenere l’Afghanistan, al Centro dello Hearthland eurasiatico, è essenziale per il World Power.

Non è affatto un caso che l’URSS, dal 1979, abbiano invaso quel territorio: gli USA erano fortemente presenti in Pakistan, sostenevano l’Iran di Reza Pahlavi; e Mosca pensava, non del tutto a torto, di essere chiusa ai confini meridionali verso l’India, uno dei suoi migliori alleati e l’asse della penetrazione dell’URSS verso l’asse Mar Rosso-Mar Cinese-Oceano Pacifico, punto essenziale per la sopravvivenza economico-militare del regime bolscevico.

Il KGB era moderatamente contrario all’invasione, come hanno dimostrato le carte d’archivio, ma il PCUS la volle fortemente.
Sappiamo come è andata, con Gorbaciov che attua prima la “afghanizzazione” del conflitto e poi ordina il ritorno delle truppe sovietiche in patria, nel 1989.
Gli USA hanno poi sostenuto i mujahiddin anticomunisti, molto spesso addestrati dai Servizi pakistani, e il regime di Islamabad ha poi sostenuto, addestrato e ideologizzato i Taliban, gli “studenti” coranici che hanno sperimentato nel 2000-2001 a Kabul il nuovo stato totalitario coranico.

Come si possa combattere i Taliban in Afghanistan, che sono addestrati dal tuo principale alleato nell’area, è un mistero doloroso che gli USA non ci hanno ancora spiegato.
Il Pakistan, la “terra dei puri” islamici della setta Deobandi, non abbandonerà mai l’Afghanistan, che è la sua area di compensazione nell’eventualità di un conflitto nucleare o convenzionale con l’India.

Gli USA e i suoi alleati sono entrati in Afghanistan per stanare e eliminare Osama Bin Laden, l’uomo che distribuiva fondi sauditi ai mujaheddin anticomunisti, mentre, in effetti, se si voleva colpire la “base” (Al Qaeda vuol dire appunto “base”) si doveva bombardare, lo dico con ironia, Amburgo, dove i tre terroristi dell’organizzazione di Osama avevano preparato l’attacco alle Torri Gemelle.

Il risultato geopolitico delle azioni ISAF in Afghanistan è presto detto: la interruzione della continuità sunnita da Islamabad al confine iraniano, il che è un asset per Teheran, non per Washington, se si vuole davvero mettere in crisi il regime degli Ayatollah; e la destabilizzazione delle aree islamiche estremiste intorno all’Afghanistan, il che presuppone in un futuro non lontano l’”insaccamento” dell’ISAF nel territorio di Kabul.

La “lotta al terrorismo” non è una operazione di polizia internazionale, così come la guerra in Iraq e poi l’eliminazione dello evil man Saddam Hussein, altro regalo imprevisto all’Iran, ma deriva da una lettura profonda del fenomeno islamista e del suo passaggio al jihad della spada.

Qui non si tratta di eliminare “il cattivo”, ma di capire i fenomeni sociali e culturali che generano anche i “cattivi”, e non viceversa.
Il Califfato proposto da Osama e, oggi, da Al Baghdadi dalla Moschea di Mosul, con un Rolex al braccio, è una risposta all’indebolimento dei tradizionali Paesi “ricchi” dell’Islam, che hanno interesse a espandere il proprio territorio perché, è il caso dell’Arabia Saudita e dell’Iran, i pozzi petroliferi sono in via di esaurimento, e si va delineando la lotta definitiva tra area sciita e sistema sunnita, le due “internazionali” dell’Islam.

Il mito del Califfato è il mito dell’unione globale sunnita contro gli “apostati” sciiti, e quindi il mito del potere globale dell’Arabia Saudita e degli Emirati nell’intero contesto della sunna.

L’Afghanistan è qui cruciale: quando gli USA e l’ISAF se ne andranno via, Kabul verrà integrata nella Shangai Cooperation Organization, dove già siede come “osservatore” e la SCO, con l’Afghanistan, passerà da una organizzazione “antiterrorismo” e di libero scambio economico ad una sorta di NATO dell’Asia Centrale, dove gli unici player saranno Russia e Cina.

La SCO, lo ha detto fin dal Gennaio 2014, non sostituirà l’ISAF in Afghanistan.
Ma certamente la NATO, succede già ora, collaborerà con la SCO per la stabilizzazione ulteriore dell’Afghanistan, e gli USA avranno la possibilità di mantenere le loro quattro basi in quel Paese, per “tenere” la Cina.

Il presidente Karzai ha recentemente affermato che le risorse minerarie dell’Afghanistan valgono almeno 30 miliardi di USD, mentre il petrolio è presente con riserve da 3,8 miliardi di barili.
L’eroina, bene illegale ma comunque bene economico, genera un mercato, nel resto del mondo e soprattutto in Occidente, che va ad oltre 200 miliardi di Usd l’anno.

Se quindi l’ISAF se ne andrà, e non può non andarsene, le guerre occidentali non sono “infinite” come il jihad, il sistema politico e economico afghano entrerà nel cerchio formato da India a Sud, che regolerà i suoi conti in Kashmir con il Pakistan, la Federazione Russa e la Cina a Nord, che gestiranno le sue risorse e controlleranno il sistema politico, e l’Iran a Ovest, facendo punto sull’area degli sciiti Hazara, al centro dell’Afhanistan.

Nessun successo quindi per la geopolitica e la geoeconomia degli Occidentali, che avranno solo la soddisfazione di aver ucciso il “cattivo” Osama Bin Laden a Abbottabad, ma qui non siamo in un film western, siamo nel Centro dello Hearthland.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa

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