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La difficile alternativa tra governo e riforme

Le vicende che tendono a concludersi almeno per quel che concerne il primo voto sulle riforme costituzionali pongono ormai in evidenza quanto sia difficile costruire in alternativa a Renzi una proposta politica capace di conquistare un consenso necessario per governare.

Vi è infatti da un lato chi, pur confermando una linea strategica di centro-destra, pone in evidenza l’estrema difficoltà di operare dall’interno della coalizione di governo mentre si affrontano le riforme costituzionali alla luce del confronto anche con le opposizioni di governo.

Siamo in presenza – in questo caso – della evidente difficoltà di costruire una complessiva strategia politica di centro-destra che intenda realizzare comunque una riaggregazione di tutti i soggetti originariamente appartenuti al Pdl ( come nel caso di Fratelli d’Italia), o comunque alleati con il Pdl (come nel caso della Lega Nord).
Siamo del pari in presenza della difficoltà – evidenziata in particolare da Ncd – di combinare un aperto sostegno al governo Renzi volendo contemporaneamente costruire un’alternativa politica al Pd guidato dallo stesso Renzi.

In questo caso risulta molto difficile poter distinguere tra il governo Renzi – necessariamente caratterizzato da un programma da lui ritenuto idoneo – e il Partito democratico – guidato dallo stesso Renzi – che per sua natura non può avere un programma sgradito allo stesso presidente del Consiglio, perché questi è contemporaneamente Segretario del Pd medesimo.

Queste difficoltà stanno progressivamente venendo al pettine, ed è molto probabile che finiranno con l’esplodere in occasione della ormai imminente legge di stabilità, anche a prescindere dalla eventuale (smentita dal governo ma temuta da tanti) “manovra” di fine anno.
L’intreccio tra l’alleanza di governo e le riforme costituzionali suscita problemi ancor più gravi qualora di ritenesse di voler sì operare per una alternativa politica a Matteo Renzi, ma non di accettare neanche solo lessicalmente l’espressione “centro-destra”, perché ritenuta sostanzialmente incomponibile con valori di natura popolare.

Si tratta in questo caso di quanti vedono in Renzi – anche se in forma attenuata – una sorta di incarnazione italiana del socialismo europeo, rispetto alla quale l’unica alternativa possibile sarebbe quella di una alternativa popolare che può anche giungere a comprendere soggetti politici provenienti dal centro- destra, senza che essa stessa divenga una alternativa di centro-destra.

Tutte queste questioni pongono infatti in evidenza alcune divergenze di fondo sia per quel che concerne la legge elettorale (basti pensare al dibattito relativo alle soglie di sbarramento), sia per quel che concerne la riforma del Senato e del titolo V della Costituzione (si pensi in particolare al duro confronto concernente più i poteri del Senato che non la natura più o meno diretta della elezione dei suoi componenti, e si consideri allo stesso tempo il dibattito – profondo anche se poco presente nei media – sul rapporto tra le regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale).

In tutto questo contesto l’Udc è sostanzialmente chiamata in qualche modo a dirimere proprio la disputa sulla natura o meno di “centro-destra” della alternativa che pur si vuole rimanga “popolare” al Partito socialista europeo, nel quale Renzi ha collocato lo stesso Partito democratico.

Se infatti si vuol resistere anche oggi alla tentazione di dar vita ancora una volta ad un partito di centro (destinato alla testimonianza rigida di valori identitari ma non anche alla conquista di un consenso popolare per il governo del Paese) occorre anche in questo caso saper guardare alla centralità politica oggi conquistata da Renzi e costruire in alternativa ad essa un’altra e diversa centralità comunque la si voglia formalmente definire.



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