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Ottaviano Del Turco, domenica 13 luglio 2008

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di Roberta Galeotti

Il racconto di Ottaviano Del Turco giunge a toccare quella strana figura che è Vincenzo Angelini, il suo grande accusatore.

Un chiamante in correità soggettivamente attendibile – scrive il gip Michela Di Fine – che si risolve a raccontare delle pressioni e minacce degli amministratori pubblici, delle dazioni di denaro che gli ha corrisposto, con una scelta sofferta, spontaneamente maturata (…)”.

Psichiatra di provincia che nella vita, a un certo punto, ha una ‘grande fortuna’, Vincenzo Angelini chietino sessantaduenne ha ereditato dal padre Guido una clinica di Chieti, “Villa Pini”. Una struttura piccola, che tale resta fino a quando non sposa Annamaria Sollecito, psichiatra come lui e, soprattutto, figlia di Antonino Sollecito, direttore sanitario dell’ospedale di Chieti.

Improvvisamente, infatti, inizia un assiduo flusso di pazienti da quella struttura sanitaria pubblica, con la diagnosi di “disturbi psichici del comportamento”, per essere trattati in convenzione a “Villa Pini”. I pazzi in quanto tali, ma soprattutto dichiarati tali, crescono con ritmi esponenziali e “Villa Pini” diventa un gioiello di sanità privata alimentata da denaro pubblico. Le strutture raddoppiano e a Villa Pini si Affianca la Sanatrix dell’Aquila, entrambe gestite dalla ‘Novafin’, la cassaforte di famiglia.

Vincenzo Angelini è un uomo diffidente che ha uno strano rapporto con i soldi. E’ convinto che “Ogni uomo abbia un prezzo, bisogna solo stabilire quale sia“. Perché per misurare il prossimo usa se stesso e ciò che governa i suoi umori: il denaro. “Sono uno spendaccione, lo sanno anche in Tibet”, dice ai pubblici ministeri che lo interrogano per giustificare goffamente 120 milioni di euro distratti negli anni dalle casse della “Novafin” e spesi o spostati chi sa come e chi sa dove.

Ama spendere ed ha una preziosa collezione di quadri che, si dice, pochi hanno avuto il privilegio di contemplare. Abita in 2 mila metri quadri di attico e superattico al settimo e ottavo piano in viale Europa 5 a Chieti, che trasforma in una fortezza di lusso ostentato. Almeno due berline con autisti all’ingresso, marmi di Carrara, vasca idromassaggio, giardino pensile, cimici, telecamere e maxischermi ovunque.
Intanto munge le casse del bilancio regionale per ottanta milioni di euro circa, vantando crediti per altri 110.

Angelini è fissato con le cimici e le telecamere di cui infesta sia la casa che le cliniche, mantiene registrazioni, immagini, scontrini di tutto ciò che potrebbe tornargli utile, solo delle dazioni non ha nulla se non le quattro foto delle mele e di lui di spalle in ingresso a casa Del Turco.

Adesso, mentre l’ex numero due della Cgil attende l’inizio del processo d’Appello (in primo grado è stato condannato a 9 anni e 6 mesi), sono stati ritrovati nei conti offshore di Angelini 100 milioni di euro, nell’ambito del processo in corso davanti al Tribunale di Chieti.
Ma è chiaro che le due vicende giudiziarie sono in stretta relazione tra loro. Secondo le tesi della difesa di Del Turco, finite ovviamente nell’istanza di Appello, le presunte distrazioni di denaro compiute da Angelini dimostrerebbero la sua attitudine a inquinare le prove e più in generale la verità.

Nelle mani degli inquirenti ci sarebbe l’hard disk di un computer in uso a Marco Rovella, commercialista di Angelini e a sua volta indagato, in cui sarebbero registrate tutte le movimentazioni contabili dell’imprenditore. Compresi i prelievi effettuati per trasferire, secondo la tesi degli inquirenti, i capitali nelle Antille Olandesi. Prelievi che coinciderebbero temporalmente con quelli divenuti prove del pagamento delle tangenti nel processo a Del Turco.

«20 giorni dopo il mio arresto – racconta Del Turco -, Angelini ha depositato 3 milioni di euro sul conto delle cliniche per pagare gli stipendi dei suoi dipendenti, i carabinieri hanno immediatamente informato la procura di Pescara ma non hanno avuto delega a controllare da dove venissero quei soldi.

Il ritrovamento dei conti offshore è la conferma di ciò che noi sapevamo. Il processo senza prove, semmai mette in chiaro il ruolo di Angelini in questa regione».

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