Pubblichiamo il commento di Massimo Mucchetti uscito sul quotidiano l’Unità
Caro Berlusconi, non la capisco più. Mi rendo conto che i processi di Milano, Bari e Napoli possano avere un effetto intimidatorio e le facciano sognare la grazia presidenziale quale estremo rimedio a quella che lei ritiene una giustizia ingiusta. Ma questa volta temo stia sbagliando i conti. Mi spiego.
Ho avversato molte scelte politiche di Forza Italia e dei governi da lei presieduti, non tutte: la Cassa depositi e prestiti Spa, per esempio, fu ottima; la riforma costituzionale del 2005 aveva punti migliori di quella oggi all’esame del Parlamento. E tuttavia ho sempre ammirato la sua capacità di difendere con realismo e coraggio gli interessi suoi e di quella parte della società italiana che le si era affidata. Nel 1994, lei decise di fondare un partito nuovo per dare una voce all’Italia del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), che Mani Pulite aveva privato di rappresentanza politica, e per servire così due finalità: a) evitare la presa del potere da parte della “gioiosa macchina da guerra”; b) avere uno scudo a difesa delle sue attività imprenditoriali che sentiva minacciate dai “comunisti”.
Grazie a quella intuizione, la Fininvest guadagnò il tempo necessario a valorizzare, quotandole in Borsa, le imprese partecipate più importanti: Mediaset, Mondadori e Mediolanum. E così, forte del consenso del mercato, la Fininvest allentò la morsa dei debiti che, diversamente, l’avrebbero soffocata. Anzi, il suo gruppo si trovo’ ad avere una posizione finanziaria netta addirittura positiva. Grazie poi alle iniziative parlamentari, le cosiddette leggi ad personam, lei ebbe modo di rallentare inchieste e processi. Un capolavoro. Glielo riconobbi sull'”Espresso” e in un libro intitolato “Licenziare i padroni?”, nel quale riconoscevo come, tramite le sue società, lei avesse impostato un rapporto con la Borsa migliore di quello di tanti sopracciò al riparo delle scatole cinesi. Fosse capo del governo o fosse capo dell’opposizione, lei si era reso intoccabile. Quello stesso D’Alema, che tre anni prima l’avrebbe voluta sul lastrico, qualificava Mediaset come risorsa del Paese. Chapeau allo stratega. Ma adesso? E’ sicuro di leggere bene la realtà? E’ tranquillo sul fatto che i suoi consiglieri non abbiano interessi personali da difendere più urgenti dei suoi?
Il patto del Nazareno lo conosce lei, non chi non c’era. Posso dunque sbagliare, ma mi pare di aver capito che superior stabat Italicum, longeque inferior Senatus. La legge elettorale dovrebbe garantire il duopolio Pd-Forza Italia. A chi arriva primo alle urne, il governo, al secondo il monopolio dell’opposizione. Comunque andasse, a lei sarebbe andata o bene o almeno discretamente. Funzionale alla nuova legge elettorale, sarebbe l’abolizione del Senato come soggetto politico, la sua riduzione a dopolavoro municipal-regionale. Il fatto che il Pd sembri a lei finalmente guidato da un segretario-padrone, sia pure selezionato per via plebiscitaria, le fa sangue. Il partito carismatico-personale l’ha inventato Silvio Berlusconi, non altri. Ma il patto del Nazareno non equivale a un patto tra due uomini d’affari, dove conta la stretta di mano e il resto lo sistemano consulenti e avvocati.
Temo che lei abbia preso un abbaglio. La politica non si riduce mai a un rapporto d’affari, anche se può comprendere accordi di tal natura. Il Parlamento non è formato solo dagli sherpa dei capoccioni. Non sarà un concentrato di premi Nobel, ma alla fine rappresenta il Paese che vota. Ed è possibile che voglia dire la sua. Ma soprattutto il leader del Pd non è un uomo d’affari. Non proviene dalla “trincea del lavoro”. Renzi è un homo totus politicus. Nel bene e nel male. E mentre per l’uomo d’affari la fedeltà alla parola data fonda la reputazione, per l’uomo politico una tal fedeltà vale principalmente per gli altri, assai meno per se’ stesso. La reputazione di un leader politico non richiede certi prerequisiti. Ricorderà l’Enrico stai sereno… Renzi valutò che, con Letta a palazzo Chigi, il Pd avrebbe perso rovinosamente le europee e prese il suo posto in tempo utile per rovesciare i pronostici. Crede che il premier senta verso di lei obblighi superiori a quelli che aveva con il suo predecessore?
Vede, caro Berlusconi, mi sono fatto l’idea che Renzi segua la politica del carciofo. Oggi porta a casa il Senato come vuole lui. Domani la mollerà sulla legge elettorale e farà l’accordo con Bersani, Calderoli e Alfano. La qual cosa gli darà due strepitosi vantaggi in vista delle dure prove dell’economia: ricompattera’ il Pd e garantirà la sopravvivenza a una opposizione di centro-destra plurale, dunque divisa, dunque sostanzialmente impotente. Lei si ritroverà ad abbaiare alla luna. O a tacere dignitosamente come sta facendo Enrico Letta. A quel punto ci sarà il cambio della guardia al Quirinale. Il nuovo presidente sarà scelto da Renzi, che avrà fatto le liste del partito vincitore del premio di maggioranza alla Camera e avrà pilotato le scelte dei consiglieri regionali-senatori. Da uomo pratico, le sarà indifferente se la scelta del successore di Napolitano avverrà subito o al decimo scrutinio. Ma conterà moltissimo per lei capire se davvero il Quirinale renziano possa cancellare le sentenze.
Non ho sfere di cristallo, ma non mi pare azzardato prevedere che, al dunque, non ci vorrebbe una grazia, ma ce ne vorrebbero tre o quattro: una per ogni condanna che le potrebbe arrivare dai processi in corso, ancorché chi le vuol bene possa legittimamente augurarsi tre o quattro assoluzioni. E come potrebbero essere concesse tante grazie a una sola persona quando anche l’obiettivo della cosiddetta pacificazione nazionale perderebbe consistenza nel momento in cui, con la legge elettorale rivista, lei non potrebbe più riportare all’ovile le pecorelle smarrite di NCD e della Lega? Credo invece più logico attendersi che il nuovo presidente prenda atto di avere un Parlamento delegittimato due volte, dal Porcellum, con il quale è stato eletto, e dalla riforma costituzionale appena fatta, e dunque sciolga queste camere.
Nel 1994, molti uomini della Fininvest, a cominciare da Fedele Confalonieri, le consigliavano l’appeasement con la politica. Ebbe ragione lei a giocarsi la sua partita. Oggi, altre persone le rivolgono lo stesso suggerimento. A Mediaset temono che un Renzi ostile modifichi le regole colpendo il Biscione, dunque auspicano sia blandito da Forza Italia. I suoi avvocati fanno lo stesso in vista della grazia. Costoro pensano al suo bene. Ma, come Confalonieri nel 1994, possono sbagliare. E poi, da imprenditore, crede davvero che il futuro della sua azienda riposi nel grembo del premier e non nelle iniziative che voi saprete prendere nel quadro del riassestamento globale del settore? Ma, come lei sa meglio di chiunque altro, il primo consigliere che spinge per l’accomodamento con palazzo Chigi e’ il senatore Verdini. E qui, lei mi perdonerà, lascio perdere le domande retoriche e passo a un’argomentazione diretta.
Il suo amico Verdini deve rispondere della bancarotta del Credito Cooperativo Fiorentino e di altre imputazioni. Qui la politica non c’entra. Si tratta di affarucoli di strapaese, ma con una conseguenza grave come la liquidazione coatta amministrativa della banca decretata dalla Banca d’Italia. Senonché per Verdini i processi non sono ancora entrati nel vivo. E qui diventa interessante vedere se lo Stato e le istituzioni si costituiranno parte civile laddove possibile o se chiuderanno un occhio e, ove lo facessero, se schiereranno i migliori avvocati o se troveranno il Giovanni Galli della situazione per giocare a perdere come accade alle elezioni amministrative fiorentine. Verdini ha maggiori possibilità di ottenere vantaggi dalla benevolenza del Principe rispetto a lei.
Visto da lontano, il suo interesse di imprenditore e uomo politico padrone del suo destino sarebbe quello di avere un sistema politico certo capace di decidere (dunque via il bicameralismo paritario) e tuttavia ancorato al corpo elettorale (Senato a elezione diretta e, piuttosto dell’Italicum, meglio il Consultellum), capace di far pesare il proprio consenso elettorale per fare maggioranza. Come faceva il suo vero amico, Bettino Craxi. Certo, se pensa di sbaragliare Renzi, di essere un D’Artagnan destinato a rivincere alla grande, auguri. Ma “Vent’anni dopo” è il titolo di un romanzo…
P.S. Questo è un articolo da giornalista. Che scrivo in ossequio, per una domenica, al consiglio del premier, via “Corriere della Sera“, di lasciare la politica ai politici, suppongo, di mestiere.