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Perché (secondo me) la Cdp può intervenire nell’Ilva

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Nel ringraziare il prof. Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e Prestiti, per l’attenzione e la risposta data con un tweet alla mia proposta di una possibile – e per me auspicabile – partecipazione del Fondo Strategico Italiano controllato dalla CDP nell’Ilva, preciso subito che non si chiedono affatto salvataggi e ristrutturazioni, conoscendo le regole comunitarie e il perimetro operativo del FSI. Esso infatti può intervenire in società di “rilevante interesse nazionale” nei settori difesa e sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni, ricerca e innovazione ad elevato contenuto tecnologico, pubblici servizi. IL FSI assume  “principalmente” partecipazioni di minoranza in aziende che siano in equilibrio economico-finanziario.

Al di fuori dei settori sopra indicati, il FSI può intervenire in società che abbiano un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni e un numero medio di dipendenti non inferiore a 250.

Allora, dopo aver ricordato che: a) lo stabilimento dell’Ilva di Taranto è stato classificato dalla legge 231/2012 “di interesse strategico nazionale”; b) che ha 11.514 addetti, cui devono aggiungersi quelli degli altri impianti dell’Ilva per un ammontare complessivo di 14.658 unità; c) e che il fatturato della stessa società supera di gran lunga i 300 milioni, resta da approfondire con una accurata e aggiornata due diligence che il nuovo commissario Piero Gnudi presumibilmente sta già compiendo la situazione economico-finanziaria della società che, se al momento non è certamente in equilibrio finanziario per le note vicende – che sono un caso unico in Europa – tale equilibrio potrebbe tuttavia recuperare alla luce di un accurato business plan che includa i costi (straordinari) dell’Aia e quelli dell’esercizio ordinario della fabbrica, i tempi di ammortamento degli investimenti, i volumi di produzione e vendite nelle attuali condizioni di mercato, la redditività della stesse, e il rilancio complessivo del sito in esclusive logiche di mercato.

I dati sinora noti dicono che la gestione dell’Ilva di Riva, quando il mercato lo ha consentito, era in attivo. L’impianto di Taranto – è appena il caso di ricordarlo – come molteplici dati consentono di attestare è al servizio dell’industria meccanica nazionale e, pertanto, possibili investimenti nella società che lo possiede – da realizzarsi con la stessa Riva Fire e altri partner italiani ed esteri – sarebbero da valutarsi nell’ottica della tutela dell’interesse del sistema produttivo italiano.

Altrimenti, che senso avrebbe avuto da parte del Legislatore la classificazione del Siderurgico come sito “di interesse strategico nazionale” ?

Federico Pirro

Università di Bari

Centro studi Confindustria Puglia

 

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