Preoccupati dalla perdita di consenso che potrebbe derivare da spinte ambientaliste provenienti dai territori, in Italia molti amministratori locali e rappresentanti nazionali tendono a frenare lo sfruttamento degli ampi giacimenti di petrolio a disposizione della Penisola.
Ciò comporta un’alta dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero e ad un costo elevato per imprese e consumatori.
Problematiche a cui il governo Renzi vorrebbe porre rimedio con un provvedimento sulle attività di estrazione a mare attualmente in discussione ed approvazione presso i due rami del Parlamento.
Permangono i malumori e gli allarmi di alcune forze politiche presenti nell’emiciclo, che sono però messi in discussione da un report, redatto da addetti ai lavori, che circola in Parlamento. Nel testo vengono smontate punto per punto, dati alla mano, alcune delle critiche affermazioni più ricorrenti nelle proposte di legge “antagonistiche” e “veteroambientaliste” in Parlamento e relative al settore oil&gas, con particolare attenzione all’off-shore.
Ad esempio: è vero che nel nostro Paese il numero delle piattaforme di estrazione di idrocarburi al largo delle coste è notevolmente cresciuto nel corso degli ultimi anni, arrivando ad interessare aree marine già sottoposte ad un forte stress ambientale?
Secondo il report, assolutamente no. Infatti, secondo i dati pubblicati nel febbraio 2013 su “Il Mare”, supplemento al Bollettino Ufficiale Degli Idrocarburi del Mise (sotto il grafico), nel corso degli ultimi anni si sarebbe consolidata la tendenza alla riduzione del numero di titoli minerari e della superficie totale da essi occupata. “Mentre nei primi anni ‘90 – si legge – erano attivi oltre 80 permessi di ricerca in mare, al 31 dicembre 2012 sono vigenti 25 permessi di ricerca per un totale di 7.252 kmq di area occupata”. Costante invece il numero di concessioni di coltivazione: “al 31 dicembre 2012” sarebbero “67, per un totale di 8.940 kmq di area occupata.
Per quanto riguarda l’attività di ricerca di nuovi giacimenti in mare, anche questa secondo il dossier “ha visto il suo massimo periodo di espansione nei primi anni 90 con una media di circa 80 nuovi pozzi perforati all’anno dei quali una buona parte di tipo esplorativo”. Dalla seconda metà degli anni 90 il numero di nuove perforazioni in mare sarebbe andato gradualmente a ridursi e nell’ultimo decennio si è assistito ad una progressiva diminuzione dell’attività di ricerca di nuovi giacimenti.
In particolare – prosegue il report – “dal 2008 al 2012 sono stati effettuati in media 15-20 nuovi pozzi all’anno, nessuno dei quali però di tipo esplorativo”.
Anche dal punto di vista dei ritrovamenti l’ultimo decennio ha visto “11 pozzi esplorativi con esito positivo a gas e con il solo pozzo “Ombrina Mare 2 dir” con esito positivo ad olio”.
Mentre nel 2012 – si apprende – l’attività di perforazione in mare “ha interessato 15 postazioni”. Di queste,” 4 perforazioni sono relative ad attività di sviluppo e le restanti 11 sono workover su pozzi esistenti”, senza nessun nuovo pozzo esplorativo.