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Povertà energetica e rinnovabili. Un vincolo da mitigare

C’è una bella dose di ipocrisia quando gli occidentali dall’alto dei loro 10mila e più kilowattora consumati predicano l’abolizione dell’uso di fonti fossili ai paesi emergenti. Che ne sappiamo della povertà energetica, quella nella sua forma più estrema, intesa come mancato accesso all’elettricità? Quella condanna che incombe su 1,4 miliardi di persone che vivono per forza maggiore off-grid e su quell’altro miliardo allacciato a infrastrutture dove la corrente arriva a singhiozzo e il blackout è una consuetudine. Energia vuol dire luce quando tramonta il sole, frigoriferi per conservare vaccini, pompe per irrigare, depuratori per acqua potabile, ecc.

Uno degli effetti più elementari e diretti del mancato accesso all’energia è che questi diseredati passano ore a raccogliere legna o si svenano per acquistare a caro prezzo un po’ di kerosene da bruciare in fuochi non protetti in ambienti chiusi per cucinare cibi e scaldarsi. Questa pratica ha un costo umano elevato. Si calcola che 1 persona su 14 sia vittima dell’inquinamento indoor. Come per l’acqua, anche per l’energia, esiste un livello minimo di sussistenza fissato intorno ai 50 kWh annui pro capite: a titolo di paragone 100 volte meno del consumo medio italiano (e 300 volte meno di quello nordamericano).

Il “development divide” passa anche attraverso il superamento della povertà energetica che rientra negli Obiettivi del Millennio del programma delle Nazioni Unite. Il consumo energetico è uno degli indicatori più eloquenti del corso del processo di sviluppo, scrive Bill Gates nel suo blog riportando un esempio tratto dal libro dello storico Vaclav Smil. Nel corso 20° secolo, negli Stati Uniti il consumo medio pro capita aumentò di 60 volte e nel contempo il costo dell’energia precipitò del 98%. Con il progressivo diffondersi di benessere nei paesi emergenti si stima che da qui al 2040, la domanda di energia globale aumenterà del 50%. A titolo di paragone, la potenza installata (28 GW) in tutta l’Africa sub sahariana (Sud Africa esclusa) è inferiore a quella cumulata in Lombardia  ed Emilia Romagna. Per coprire i bisogni di una popolazione di 860milioni di abitanti  a fronte delle necessità di 15 milioni.

Se nei paesi ricchi è lecito imporre dei vincoli per un utilizzo sostenibile di fonti rinnovabili, nei paesi poveri il concetto deve essere mitigato: perché lì l’imperativo è avere accesso a più energia, a buon mercato innanzi tutto, meglio se pulita ma senza che questo aspetto diventi un freno allo sviluppo.  Nell’attesa del salto quantico che ci porterà la fonte energetica pulita, economica ed inesauribile, bisogna riconoscere ai paesi poveri il diritto ad uscire da questa condizione anche a costo di sgarrare dal rigido diktat dell’ambientalismo perbenista occidentale.  Come sintetizza con disincantato pragmatismo Bjørn Lomborg del Copenhagen Consensus Center nel video postato sempre da Bill Gates nel suo blog: si tratta di passare da dirty fuel a fossil fuel. Tappa purtroppo imprescindibile.


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