Se qualcuno pensa che l’atmosfera in Europa si stia surriscaldando sul tema degli spazi – specie per l’Italia – per una maggiore flessibilità nel ridurre deficit e debito pubblico, si tenga forte: andiamo incontro ad un autunno caldo, molto caldo. Sarà infatti ad ottobre che nel Parlamento ancora non riformato assisteremo alla discussione della Legge di Stabilità per il 2015. Che in teoria è “già scritta” sulla pietra sulla base delle indicazioni che Renzi e Padoan hanno voluto inserire nel Documento di Economia e Finanza dello scorso aprile e delle raccomandazioni, non tutte positive, che l’Europa gli ha rivolto.
COSA CONTIENE IL DEF
Nel DEF il Governo ha infatti previsto una crescita dell’avanzo primario (tasse meno spese al netto degli interessi) da 2,6% a 3,3% del PIL, 12 miliardi di manovra, più tasse e meno spese. In più l’Europa chiede di aggiungervi altri 8 miliardi circa. Una manovra da 20 miliardi che ucciderà un’economia ansimante e allo stremo.
UN CONTROSENSO
Vi chiederete: come mai, in un momento in cui in Italia le famiglie riducono i consumi, le imprese non investono e non chiedono prestiti, ci mettiamo a tassarle di più e a ridurre la domanda pubblica di investimenti che costituirebbe la sola fonte di lavoro e prodotto interno lordo? E con la conseguenza addizionale e assurda che il nostro debito pubblico sul PIL invece di scendere, con l’austerità, sale al livello più alto dagli anni trenta?
IL FISCAL COMPACT
Semplice. La risposta sta in uno strumento astrusissimo, che se provaste a spiegarlo a Obama o Abe vi guarderebbero stralunati, senza capirci nulla: il Fiscal Compact. Che chiede all’Italia di ridurre il deficit rapidamente verso lo zero, forzandoci a manovre di austerità in recessione. Ma è un deficit tutto particolare, il cosiddetto deficit strutturale, quello che andrebbe portato in pareggio: che dovrebbe in teoria lasciar spazio per qualche minore aggiustamento nei momenti di difficoltà ma che – peccato! – per come è costruito, tanto più un paese è in difficoltà economica tanto minori sono questi spazi aggiuntivi.
COSA PREVEDE IL FISCAL COMPACT E LE RAGIONI DEL REFERENDUM
Il Fiscal Compact chiede ai Paesi come l’Italia un deficit strutturale dello 0,5% di PIL ma i nostri governanti si sono obbligati a fare ancora di più di quanto previsto dall’Europa, arrivando allo zero. Fare di più è in realtà consentito dalla legge 243 del 2012 proposta dal Governo Monti. E’ rispetto a questa legge che il Comitato Promotore che presiedo ha identificato e depositato 4 quesiti referendari per lanciare un segnale all’Europa che è venuto il tempo di attivare una strategia volta a far ripartire la domanda interna nel Paese, salvando i più deboli dalla crisi, specie i giovani e le nostre piccole imprese.
I QUATTRO QUESITI
Va chiarito che nei quattro quesiti si chiede l’abrogazione di alcune specifiche disposizioni della legge 243 che non sono richieste né dall’Unione europea, né dal Fiscal Compact. Come noto, infatti, il referendum abrogativo non può toccare norme imposte dall’Europa o previste da trattati internazionali. Per questo motivo i quesiti rispettano l’art. 75 della Costituzione che impedisce di abrogare con referendum le leggi di ratifica dei trattati internazionali. E rispettano anche la giurisprudenza della Corte costituzionale che considera inammissibile il referendum il cui esito impedisca l’applicazione delle norme europee.
CHI SOSTIENE IL REFERENDUM
L’associazione che ha ideato i quesiti, I Viaggiatori in Movimento, ha avuto il sostegno di intellettuali di centro, di sinistra e di destra che fanno parte del Comitato. Altrettanto sostegno abbiamo avuto sinora dai movimenti e da responsabili politici della sinistra nonché dalla CGIL. Fatto strano, nessuno del centro destra e della destra si è ancora sbilanciato. Eppure mi sarei aspettato un grande sostegno da queste aree politiche: in fondo le piccole imprese che soffrono sono un loro forte interlocutore e così sono anche i tanti appartenenti alla classe media ed al pubblico impiego che vedono le loro prospettive future rimpicciolirsi sempre più a causa dell’austerità.
Il referendum, le cui firme raccoglieremo fino a fine settembre, è una grande occasione per salvare l’Europa dell’euro, la stabilità finanziaria e soprattutto ridare un senso di direzione, di crescita nella solidarietà, a tutto il Continente. Non si capisce perché questa non sia una sfida che tutta la politica italiana possa far sua.
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