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Ecco come Renzi tiene in scacco Forza Italia sulla legge elettorale

convergenze

Nel travagliato e nebuloso percorso di revisione dell’architettura istituzionale aleggia una novità. Un’ipotesi che rischia di scompaginare le carte, rompere patti consolidati, rimettere in gioco accordi inediti.

Un’apertura significativa

All’indomani dell’incontro sul nuovo meccanismo di voto fra la rappresentanza del Partito democratico capitanata da Matteo Renzi e la delegazione del Movimento Cinque Stelle guidata da Luigi Di Maio, Repubblica ha messo in luce una singolare convergenza degli esponenti dei rispettivi schieramenti più esperti di legge elettorale.

Per rompere lo stallo di posizioni cristallizzate e scardinare l’accordo stipulato al Nazareno da PD e Forza Italia, il parlamentare penta-stellato Danilo Toninelli pensa di abbandonare il progetto di riforma redatta dal partito di Beppe Grillo e propone un ritorno al Mattarellum.

Dal modello ispano-svizzero al Mattarellum

Le regole proporzionali di tipo “spagnolo-svizzero” adottate dal M5S – circoscrizioni molto ridotte, liste corte, calcolo di voti e seggi in ogni distretto, facoltà di esprimere le preferenze e di bocciare candidati del partito scelto sostituendoli con persone di altre forze – lascerebbero il campo al ripristino del meccanismo prevalentemente maggioritario uninominale di stampo britannico in vigore tra il 1993 e il 2005.

Nella loro differente filosofia, entrambi i sistemi sono altamente selettivi. Favoriscono un rapporto di conoscenza e responsabilità degli aspiranti parlamentari da parte degli elettori di un territorio ristretto, promuovono un ricambio della classe dirigente dei partiti, valorizzano le grandi formazioni e i gruppi radicati in precise aree geografiche semplificando in senso bipolare il quadro politico.

Ritorno al futuro?

Le parole pronunciate fa da Toninelli riflettono una significativa apertura di credito: “Se il Partito democratico ci chiede che il punto di caduta sia il Mattarellum nella versione del Senato – per cui la competizione e l’elezione dei parlamentari si svolge tutta nei collegi, tra vincitori diretti e recupero proporzionale dei gruppi di candidati tra loro collegati con ripescaggio degli sconfitti più votati – lo prendiamo e lo portiamo alla Rete”.

Una proposta che sembra far breccia tra le mura del Nazareno, toccando una corda di cui si fa portavoce Roberto Giachetti, fautore di un modello politico-elettorale competitivo: “Se i grillini ci buttano tra i piedi il Mattarellum in alternativa al Democratellum, nel PD si apre una discussione…”.

Un precedente emblematico

Non è casuale che la riflessione provenga da chi, nel maggio 2013, promosse una mozione per il ripristino delle regole del 1993. Documento che trovò adesione nei parlamentari penta-stellati venendo respinto delle “larghe intese” condivise da Forza Italia e da un Partito democratico sull’orlo della disintegrazione.

Parole illuminanti

È lo spettro di una saldatura, questa volta vincente, tra PD e Cinque Stelle sul ritorno al Mattarellum ad agitare lo stato maggiore di Forza Italia. Il retroscena scritto su Repubblica da Francesco Bei riguardo l’assemblea dei parlamentari “azzurri”, seguita al summit tra il premier e Silvio Berlusconi sul percorso di revisione costituzionale, presenta un passaggio rivelatore del nodo politico sul tappeto.

L’ex coordinatore nazionale e plenipotenziario per le riforme Denis Verdini si sarebbe rivolto così ai colleghi recalcitranti ad accettare un Senato non elettivo: “Ma lo capite o no che se votiamo contro le riforme, poi l’Italicum ce lo scordiamo e Renzi approva il Mattarellum con i voti dei grillini? E in tal caso soltanto 20 di voi torneranno in Parlamento rispetto a 100 garantiti dall’Italicum?”

Il rischio di essere spazzati via

Le argomentazioni del sanguigno esponente fiorentino toccano al cuore il futuro di Forza Italia e le prospettive del centro-destra. O meglio, dell’attuale centro-destra. La ragione del suo monito risiede nella logica e negli effetti dell’applicazione nell’odierno scenario politico di regole maggioritarie uninominali. Per cui viene eletta unicamente la persona che conquista più consensi in un piccolo territorio.

Lo stato di confusione e smarrimento culturale, le rivalità mescolate a spirito di rivalsa, le manovre di piccolo cabotaggio e le spinte alla gelosa conservazione di identità partitiche che caratterizza il profilo delle forze conservatrici e moderate, si rivelerebbero letali in una competizione aperta e serrata nei singoli collegi. Nei quali contano non solo la limpidezza e la coesione programmatica delle aggregazioni in campo, ma anche e soprattutto il valore, la credibilità, la storia, il coraggio dei candidati che le rappresentano.

È facilmente immaginabile che la fragilità di un centro-destra oscillante tra protesta populista, ambiguità progettuale, appiattimento sulle scelte governative – e rappresentato da una classe dirigente del tutto screditata – provocherebbe un’ondata di sconfitte nei collegi maggioritari. Soprattutto a confronto con un PD radicato e vincente sul piano locale. E senza dimenticare l’incognita insidiosa dei rappresentanti Cinque Stelle, che rischia di relegate i moderati al terzo posto nella sfida elettorale.

Un 1994 al contrario?

Forza Italia, Nuovo Centro-destra, Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale e Lega Nord rischierebbero di subire su scala nazionale la débâcle dei 61 a zero perpetrata nei confronti dell’Ulivo di Francesco Rutelli e Piero Fassino nei collegi della Sicilia in occasione del voto politico del maggio 2001.

E di ripercorrere le orme ingloriose della coalizione centrista formata nel marzo 1994 dal Patto per l’Italia e dai Popolari. Alleanza che restò stritolata nello scontro tra Progressisti e Polo della libertà-buongoverno conquistando 4 seggi uninominali a Montecitorio e 31 a Palazzo Madama.

Il paracadute dell’Italicum

Molto più rassicuranti per la galassia conservatrice le prospettive offerte dalle regole approvate dall’Assemblea di Montecitorio. Le quali non prevedono scontri all’ultimo voto nei collegi maggioritari, né competizioni tra gruppi ristretti di candidati in circoscrizioni ridotte come in Spagna.

Nessun pericolo di bocciature impietose del ceto dirigente. Nel meccanismo messo a punto dagli sherpa di Partito democratico e Forza Italia con l’assenso di NCD e Scelta civica, il conteggio dei voti, l’attribuzione dei seggi, il recupero dei resti, avvengono a livello nazionale e non territoriale. Il che permette a formazioni nettamente sconfitte sul piano locale di sopravvivere e limitare i danni.

Restare a galla

Promuovendo un’alleanza a più voci sulla falsariga della Casa delle libertà del 2001, le forze moderate potrebbero puntare a un rassicurante 30 per cento.

Risultato lontano dal 40 per cento conquistato a fine maggio dal solo PD, ma che consentirebbe di guadagnare una rappresentanza fedele ai consensi ottenuti, sopravanzare il M5S, attestarsi come l’alternativa al Nazareno, costringere forse il partito di Renzi al ballottaggio.

L’autentico scoglio da superare, per gruppi quali NCD e Fratelli d’Italia, sarebbe la soglia di sbarramento attualmente fissata al 4,5 per cento dei voti.

Uno scenario alternativo

Come ha acutamente intuito Verdini, l’Italicum costituisce una polizza di garanzia e sopravvivenza per l’intero apparato di Forza Italia e delle altre realtà del centro-destra, oltre che per le possibilità di rielezione dei loro esponenti. Anche nell’eventualità di una sonora sconfitta al ballottaggio.

Altro scenario prenderebbe corpo se il centro-destra abbracciasse l’opzione condensata nell’idea di una “Leopolda Blu”: azzeramento della nomenclatura e scelta di una leadership realmente innovatrice tramite elezioni primarie.

A quel punto anche nel mondo conservatore-moderato potrebbe aprirsi la strada al ritorno al Mattarellum versione Senato. O a riforme integralmente maggioritarie uninominali, magari accompagnate al progetto di elezione popolare di un Presidente della Repubblica responsabile del governo. Come accadde nella primavera-estate del 1994. Quando Forza Italia e il centro-destra avevano il sapore della novità.


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