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Renzi, la Libia e le preoccupazioni in politica estera

Alla fine cinguettò: “Sono più preoccupato della situazione in Libia che delle riforme”. Parole sacrosante queste di Matteo Renzi.

Era ora che il presidente del Consiglio prendesse atto dello spread fra la serietà dei temi imposti dalla politica estera e la “piccineria” delle questioni interne al Palazzo. Sin qui il suo story telling è stato basato sull’epica del valoroso rottamatore solo contro tutti.

La tattica ha funzionato, benissimo. Un conto però è vincere le elezioni ed altro conto è governare un Paese che fa (ancora) parte del G7 e in un momento storico difficilissimo per le relazioni internazionali.

In questo contesto il fascino discreto di ministre come Maria Elena Boschi può ben poco. Il gioco è pesante. La Libia versa da molto, troppo, tempo in una condizione allarmante. Il sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale, Marco Minniti, era intervenuto pubblicamente per segnalare la gravità degli scenari a Tripoli.

La sua voce è rimasta pressochè isolata. Certo, il premier è stato in Africa: la sua prima visita è stata in Tunisia ed il suo ultimo viaggio ha toccato il Mozambico, il Congo e l’Angola. Certo, da lì non ha parlato di Isis o di Boko Haram e neppure delle persecuzioni dei cattolici in Nigeria e in Iraq. Un po’ alla volta.

La questione più grave e potenzialmente rischiosa è però la sottovalutazione del dossier Ucraina. Da quando è esplosa la crisi Renzi ha cercato l’equivicinanza fra Mosca e Washington. Il risultato non è stato felice. Il danno non è limitato solo alla reazione contraria alla candidatura della Mogherini: ora che la UE varerà le sanzioni contro la Russia, quali saranno le aziende maggiormente penalizzate? Si accettano scommesse.

Che dire poi, dell’ingresso di China State Grid in Cdp Reti? Davvero Palazzo Chigi ritiene che questa scelta non stia destando stupore se non sconcerto oltreconfine? Insomma, Renzi fa benissimo a twittare sulla politica estera e a dirsi preoccupato. Il torpore delle riforme può stordire i commentatori ed giornalisti italiani più blasonati ma non gli osservatori internazionali.

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