Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Circa 25mila dipendenti di Hamas lavorano, a Gaza, nei Servizi di Sicurezza, e l’accordo tra Al Fatah e Hamas del 23 Aprile scorso non menziona esplicitamente lo scioglimento delle “Brigate Izz’el Din Qassam”, l’ala militare del gruppo fondamentalista sunnita.
Le armi ora arrivano soprattutto dall’Iran, che vede nel sostegno al gruppo sunnita dei Fratelli Musulmani un modo di chiudere Israele da sud, il che si aggiunge alla pressione degli sciiti di Hezbollah presenti nel sud del Libano.
Tra i missili, l’asse dell’azione di Hamas su Israele, ci sono oggi gli M-302 di fabbricazione siriana e di progettazione cinese, e nell’attuale fase dello scontro si calcola che il gruppo fondamentalista sunnita possa contare su oltre 10mila missili di varia gittata e potenza di fuoco.
Hamas ha anche 100 missili Fajr iraniani, che hanno una gittata di 75 chilometri e, in effetti, il gruppo islamista vuol tenere sotto scacco non solo il meridione dello Stato Ebraico ma,in correlazione strategica con Hezbollah, anche il centro e il Nord di Israele.
Gli arsenali vengono protetti da scudi umani, soprattutto bambini, arsenali che sono posti nelle aree maggiormente abitate e a maggiore impatto mediatico (scuole, ospedali, etc.) per creare, con la grande rete di mass-media favorevole agli islamisti e che ritiene Israele uno stato “militarista”, il massimo risalto negativo alle operazioni militari dello Stato Ebraico.
Il pubblico europeo, e non solo il pubblico, ma anche le cosiddette “classi dirigenti” della UE e dell’ONU, sono particolarmente sensibili ad azioni contro la popolazione civile, che in questo caso sono gestite direttamente da Hamas, ma, come accade a certi insetti, i dirigenti UE e dell’ONU, che Cossiga definiva “un ente inutile” vedono solo l’immagine finale e non conoscono le cause, e quindi non possono ragionevolmente attribuire le colpe.
Ci sono poi le organizzazioni “per i diritti umani”, che di solito polemizzano solo contro Israele, come è già successo per l’azione dell’IDF, le Forze Armate di Israele, che hanno scoperto nella West Bank moltissimi arsenali di armi di Hamas, alla fine di questo giugno.
La tattica del gruppo terrorista sunnita è quella di colpire, quando lo ritiene più opportuno politicamente, civili israeliani, per rendere inevitabile l’azione delle Forze Armate dello Stato Ebraico.
Le armi sono tenute, lo abbiamo già notato, presso scuole e ospedali, anche delle Nazioni Unite, le aree di addestramento sono ricavate spesso dalle zone ricreative e sportive dietro le moschee, il suo personale militare si camuffa spesso da medico o da infermiere, e moltissime delle forniture ai civili da parte dell’ONU sono state requisite o semplicemente rubate dalla rete di Hamas.
In altri termini, l’organizzazione sunnita è preparata per una guerra di attrito di lunga durata, mentre Israele, pressato dalla pubblica opinione, spesso manipolata, a favore dei “palestinesi senza patria” può solo permettersi una reazione forte, precisa, ma limitata nel tempo e nello spazio.
Come accade ad Hezbollah, Hamas fa la guerra ad Israele utilizzando molte tattiche che, nella tradizione militare, non sono definite né come guerra né come guerriglia.
Non vi è separazione, in Hamas, tra militare e civile, tra impiegato pubblico e militare, tra guerra e guerriglia, mentre, come accade anche con Hezbollah, ogni azione di guerra di Hamas è unita anche a una operazione di guerra psicologica, e viceversa.
Il popolo di Hamas viene poi soggiogato da una propaganda massiccia, tra fondamentalismo jihadista e vecchie tematiche antisraeliane tipiche dei vecchi regimi del Baath sirio-iraqeno e, soprattutto, dal fatto che la violenza paga. Paga con gli aiuti umanitari, soprattutto.
La Conferenza di Sharm el Sheik del 2009 i donatori, soprattutto arabi, hanno fornito 4,481 miliardi di usd per sostenere l’economia palestinese e soprattutto la Striscia di Gaza, e normalmente Hamas ruba i finanziamenti per comprare armi e spesso colpisce i convogli di aiuti in beni di consumo diretti a Gaza, che poi vengono rivenduti all’asta.
La reazione dell’UE e del resto del mondo per l’operazione israeliana Protective Edge ha spesso i toni dell’umorismo involontario: il Segretario dell’ONU, l’”ente inutile” bollato da Francesco Cossiga, ha “condannato le azioni militari” da entrambe le parti e ha chiesto un cessate il fuoco. San Filippo Neri, con qualche motivo in più, avrebbe detto: “state buoni, se potete”.
L’UE ha manifestato, una volta tanto, la sua solidarietà ai “cittadini” (e non al Governo, si noti bene) israeliani, che sono sotto una pioggia di razzi di vario potenziale distruttivo.
L’Egitto condanna le violenze ma sta creando un contatto con Hamas e con la Giordania per arrivare a una tregua “che non metta in pericolo gli interessi dei Palestinesi”. E quindi non intacchi sostanzialmente il potere di Hamas nella Striscia di Gaza. I turchi chiedono a Israele di fermare “le violenze a Gaza”.
Insomma, Hamas ha già vinto quando, nella comunicazione pubblica, viene messo sullo stesso piano di uno Stato Sovrano che è, da sempre, l’obiettivo di operazioni di guerriglia, lanci di razzi tutti i giorni, rapimenti di civili, assalti ai confini da parte di Hamas, l’organizzazione terroristica derivata dai “Fratelli Musulmani”.
Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa