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Vi svelo il non detto sul patto Renzi-Berlusconi

Con l’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo il Cameo scritto da Riccardo Ruggeri e apparso nel quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Quando nel febbraio scorso vidi Berlusconi scendere le scale del Nazareno, e i cronisti scrivere che era stato firmato un accordo, il mio pensiero corse al Patto Molotov-Ribbentrop. Mi resi subito conto della ridicolaggine di questo parallelo. Il sovietico e il nazista erano, a tutti gli effetti, già da vivi, dei personaggi storici (seppur orrendi), mentre i nostri sono due personaggi televisivi (perbene e simpatici).

I migliori analisti politici ci spiegarono che Renzi e Berlusconi erano dominati da un autentico spirito liberale e costituente, il momento delle riforme, atteso da 20 anni, era arrivato. Persino raffinati personaggi della cultura erano, e sono, su questa posizione. Appartenendo alla congrega degli Ápoti, mai credetti a questa favola, oltretutto mi sfuggiva come due personaggi, identici dal punto di vista dei processi mentali (al foro boario di Carrù dicono: due furb da pais), potessero fare un accordo del tutto sbilanciato a favore di uno (Renzi), e suicida per l’altro (Berlusconi). Un’idea l’ebbi subito, non ne scrissi: i dati erano insufficienti, il tempo non maturo.

Ora che l’accordo è stato confermato, la mia teoria può essere esplicitata: questo non è un «accordo» ma un «patto», e anche se l’amato Zanichelli dei Sinonimi ne riporta l’equivalenza (così la Treccani), per un amante delle sfumature semantiche, fra accordo e patto le differenze, almeno nel business, sono notevoli. Specie se i due contraenti sono consapevoli in che cosa consista lo «scambio».

Un passo indietro. Per vent’anni Berlusconi è vissuto in un gigantesco conflitto d’interessi, come proprietario di un impero operante in vari settori «sensibili», fruitore persino di concessioni governative; inoltre quando fu Premier (9 anni su 20) il suo potere sulle TV era totale. Suggestiva la sua difesa: «gli italiani sanno tutto, se più della metà di loro votano per me, il conflitto è sanato». Moralmente era imbarazzante, politicamente fu accettato. Condizionato dalla mia storia di manager, mai ho visto Berlusconi come un politico possessore di aziende (alla Bloomberg), ma come un imprenditore che gestiva, con tecniche manageriali, due aziende, una industriale (Fininvest), l’altra politica (Forza Italia).

Se adottassimo il criterio manageriale della «rappresentazione organigrammatica» vedremmo uno schema con, sulla sinistra, Fininvest, sulla destra Forza Italia, sopra la Holding. Il primo agosto scorso, Berlusconi è stato condannato in via definitiva, pochi mesi dopo espulso dal Senato, il suo conflitto d’interessi, lì si spense. Ho provato a mettermi nei suoi panni: l’età, la storia, il contesto, tutto rendeva impossibile un suo «ritorno in campo», era il momento di chiudere, con eleganza. Il rischio però era mortale: gli avrebbero sfilato il patrimonio. Gli asset pregiati ormai erano tutti in Fininvest, quattrini cash non c’erano più (?), che fare?

Qui si rivela il genio del personaggio, l’ultimo colpo di reni del mago della pioggia. Intuisce che Renzi è un mago come lui, solo più cattivo, coglie la scaltrezza da oratorio e l’infinita ambizione di questo giovane, di cui forse si «innamora» pure. E’ l’unico laico, a sinistra, con cui può fare non certo un «accordo», ma un «patto» sì; loro due non hanno bisogno di parlarsi, si capiscono. E «patto» fu, segreto ma non illegale, perché «psicologico», nessun magistrato potrà mai dimostrarne l’esistenza, non ci sono carte, contratti, firme, notai: lo sintetizzerei così, «capirsi non è reato». E poi, i rischi sono tutti di Berlusconi, nulli per Renzi.

La mia ipotesi è questa: Renzi non va a nuove elezioni fino al 2018 (che pure vincerebbe con qualsiasi legge elettorale), considera FI interlocutore privilegiato, se del caso, lo imbarca nella maggioranza, se Napolitano si dimettesse (nulla farà però perché ciò avvenga) sceglierà una figura femminile neutra e prona, lancia alla Magistratura il messaggio che l’uomo Berlusconi (semi pentito) è utile per il Paese. Nel frattempo, frena, velocizza-rallenta, nasconde, sopisce; utilizza come copertura politica le riforme istituzionali (più sono tecnicamente ridicole, più si prestano al dibattito, agli emendamenti, trova persino i Boschi e i Mineo che ci mettono del loro, intanto il tempo passa). Gli obiettivi li sposta da 100 a 1.000 giorni, lancia divertenti ballons d’essais (geniale quello contro la Bundesbank!), intanto la sua immagine si rafforza.

E Berlusconi? Quatto quatto, opera per liquidare e monetizzare al meglio gli asset industriali (se possibile anche Balotelli). Le sue TV, i suoi uomini in FI, lui stesso, trattano Renzi da alleato (il figlio Piersilvio addirittura da fratello), lo proteggono dai suoi avversari interni. Nei «forzieri» di FI ci sono ancora milioni di voti, un asset che per Berlusconi ha perso il suo valore strategico (lui non farà mai più politica), per definizione non sono «vendibili», hanno però un grande valore, se si trova qualcuno con cui «barattarli». L’ha trovato. Sta nascendo il «PD con L», nel 2018 sarà pronto.

«Tempo versus voti», questa è l’essenza del patto: nulla di illegale sia chiaro. Mentre in FI i suoi collaboratori, ingenui, si riposizionano e lottano a sangue in vista della successione, lui ha già «venduto la Ditta» (consegna chiavi: 2018). Una genialata! Rischi? Ci sono, eccome, almeno tre: a) i magistrati; b) gli elettori di FI che potrebbero capire il giochino, rifiutando il baratto; c) il precipitare della situazione economica. Però, di risulta, e in positivo, c’è pure un’altra opportunità per il Paese: il bisogno politico di un’altra «cosa», che raccolga tutti quelli che non accettano lo schema culturale renziano-berlusconiano, che sentono puzza di regime. Una «Leopolda Gialla» (giallo è il colore della saggezza)? Ne riparleremo. Uno scoop intellettuale il mio, senza uno straccio di intercettazione ambientale, senza uno straccio di pentito, neppure un papello di supporto.

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