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Caro Renzi, prima delle riforme serve la crescita

Ogni giorno che passa ci avviciniamo al giorno X in cui sapremo cosa farà il Governo Renzi veramente sul Fiscal Compact e sulle sue ingenue ed ottuse prescrizioni. Ogni giorno che passa Renzi comprende un pochino di più, visto che deve prendere decisioni che influenzano il bilancio pubblico, l’impatto dell’attuale contesto europeo – istituzionale ed economico – sul suo progetto per il Paese, se e come ne viene aiutato o come piuttosto le sue ali ne vengono tarpate.

Ogni giorno che passa manca un giorno in meno alla approvazione della mega manovra finanziaria per il 2015 (ovviamente non farà nulla per il 2014, d’accordo con l’Europa che perlomeno così idiota non è e ha deciso di chiudere un occhio) che, se approvata come richiesto, rischia di uccidere Italia ed Europa.

Giorni fa Renzi deve avere capito molto. Gli è stato «impedito» di portare a casa la riforma del ringiovanimento dell’Università, accelerando il pensionamenti dei professori ultra sessantenni. Non si può fare, non ci sono i soldi, dice la Ragioneria. Ora, io non so bene se questa è una riforma giusta o meno dell’università. Se dovessi dire la mia, direi no, che c’è bisogno di ultrasessantenni all’Università, ma, insieme, anche molti più posti, meglio pagati, per i giovani. Il che significa comunque avere bisogno di più soldi.

Ma supponiamo per un attimo che la riforma di Renzi sia quella giusta, quella che lui voleva fare perché coerente con la sua visione del mondo. Ecco, ora Renzi sa. Sa due cose. Primo, che le riforme costano. Secondo, che in una recessione e in più con il Fiscal Compact che preme ( e che, assurdamente, chiede più tasse e meno spese in una recessione!) le riforme generano ancora più facili mal di pancia e ribellioni (mancano le risorse per compensare i perdenti). E che quindi non si fanno.

Torno al mio punto di sempre. Le riforme dopo, la crescita subito. Il che significa, siccome crescita di breve periodo si ottiene solo con la politica economica, via il Fiscal Compact e via la BCE che ci mette nei guai con la deflazione e l’aumento degli spread dei tassi d’interesse reali. La metafora che faccio sempre dell’aeroplano in volo, si arricchisce di sempre nuovi elementi. Il Fiscal Compact è il pilota automatico che funziona in assenza di turbolenza. Ora si balla eccome, a causa della crisi. Col pilota automatico si sbatte contro la montagna, ci vuole il pilota che prenda in mano il velivolo. Il che significa moratoria sul Fiscal Compact e discrezionalità maggiore nelle politiche di bilancio, rinviando l’ottuso bilancio in pareggio a momenti buoni per l’economia. Le riforme? È ovvio che si balla molto perché l’aereo italiano non è in buono stato. Ma non si rimette certo a posto in volo. Lo si fa abilmente atterrare, si salvano i passeggeri, e poi si rimette a posto. Con le riforme, a cominciare dalla spending review.


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