Partiti divisi sull’articolo 18. Moody’s vede nero sull’Italia.
Sono due dei titoli che si leggono in queste ore sui giornali di carta e on line. Ma a quale anno si riferiscono? Sono infatti titoli che si leggevano quando governava Silvio Berlusconi, che facevano capolino pure durante l’esecutivo presieduto da Mario Monti e che ora fanno barcollare il baldanzoso premier Matteo Renzi.
Si dirà: è la dimostrazione che le vere riforme in Italia si enunziano e non si realizzano, per questo è normale che la Bce di Mario Draghi continui ad assestare scapaccioni all’Italia e a Renzi e che le agenzie di rating facciano previsioni grame.
Ma è proprio così? Davvero negli ultimi anni i governi compreso quello di Silvio Berlusconi sono stati in panciolle rispetto ai diktat di Berlino, Bruxelles e Francoforte? Gli addetti ai lavori ricordano ancora un intervento di Renato Brunetta sul Foglio, un paio di settimane dopo la lettera di Trichet e Draghi, in cui l’allora ex ministro certificava che le richieste della missiva erano state sostanzialmente accolte e pure approvate o implementate dal governo Renzi.
Poi è arrivato a furor di eurocrati il governo Monti che ha praticamente trasposto i dettami di Bruxelles e Francoforte in testi di legge: riforma Fornero sulle pensioni, intervento sul mercato del lavoro, liberalizzazioni, decreto Cresci Italia, Libera Italia ecc.
Si va alle elezioni e nasce un governo di larghe intese in stile tedesco: accordo fra i maggiori partiti per proseguire nel tirare la cinghia in termini di finanza pubblica (ovvero tassando e tartassando) e nelle riforme strutturali. Evviva il governo di Enrico Letta. Anzi no, contrordine. Il piddino Letta è troppo moscio, poco arrembante e per nulla scaltro. Così il Pd per evitare una batosta elettorale cambia cavallo e fa largo al puledro Matteo Renzi che scalpitava dopo aver vinto le primarie del Pd.
Avanti tutta, Matteo! In un tripudio di renzismo esasperato, il premier seduce elettori, oppositori e giornaloni, il fatuo leaderismo mediatico fa continuare a credere che basta una nuova persona al comando per trovare finalmente la stanza dei bottoni e risollevare l’Italia da disoccupazione, recessione e deflazione.
Il Pd nel frattempo gongola: alle Europee sbaraglia e i non renziani diventano di colpo renziani doc senza avere neppure il pudore di raccogliersi in un più dignitoso silenzio. Effetto bonus 80 euro, ma non solo.
E le riforme strutturali? Ah be’ certo le slide abbondano, i disegni di legge pure, i decreti non mancano (come quello Poletti, che fa andare in brodo di giuggiole Ncd e anche il centrodestra non al governo) e si sta per rottamare il Senato elettivo.
I mercati e le istituzioni europee plaudono? Macché. Bruxelles borbotta per la richiesta di proroga al 2016 per il pareggio di bilancio, la flessibilità nelle regole di finanza pubblica invocata da Renzi viene di fatto spernacchiata (pure dal presidente della Bce, Mario Draghi), poi da Francoforte arrivano altri scapaccioni, per il Financial Times è finita la luna di miele di Renzi, il Wall Street Journal inzuppa il biscotto e i signori di Mood’y si accorgono che la recessione può peggiorare pil e conti pubblici dell’Italia (però, che geni questi soloni delle agenzie di rating).
Domanda delle domande: Draghi ha sempre ragione?