La risposta che Matteo Renzi ha dato, anche se indirettamente, sia a Moody’s che alle dichiarazioni del presidente della Bce Mario Draghi sulle riforme inducono a sospettare che il suo sia stato più che altro un intervento di orgoglio nazionale. Ma la domanda che sorge spontanea è fino a che punto questo intervento sia compatibile con il processo di integrazione europea in atto.
Non è una questione di lana caprina ma di sostanza.
L’Europa è andata integrandosi con difficoltà, l’ultimo punto di integrazione è stato l’elezione per il presidente della Commissione europea, che non avviene più all’unanimità dei Paesi europei ma a maggioranza, come il premier britannico David Cameron ha visto sulla sua pelle quando si è opposto all’elezione di Jean-Claude Juncker ma non ha potuto fare niente per evitarla.
In questo momento quindi nell’Ue i margini di autonomia nazionale devono essere contrattati passo per passo non solo in termini di flessibilità ma anche in termini di contenuti per la crescita. Il nostro Paese deve portare a termine il tipo di riforme richieste dall’Europa. È questa la sfida politica molto seria che attende il presidente del Consiglio italiano, sia nei confronti dell’Italia che dell’Europa, a maggior ragione visto che il nostro Paese è alla guida di questo semestre europeo.
Non si tratta di uno scontro astratto ma di una ricerca complicata tra la nostra autonomia nazionale e il processo di integrazione europeo a cui Renzi dovrà dedicarsi, stando ben attento con le sue dichiarazioni a non essere percepito come euroscettico. Questa sarebbe la cosa peggiore.