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Il poco renziano Orfini mette in azione la calamita-Renzi

Altro che “Left wing”, ala sinistra, la rivista che ha contribuito a fondare. Matteo Orfini, nella nuova veste di presidente del Pd, sembra dispiegare le ali verso un nuovo modello di Pd targato Matteo Renzi. Un partito inclusivo, allargato al centro e a sinistra che la “calamita” rappresentata dal presidente del Consiglio può attrarre a sé.

Intervistato dalla Stampa, il presidente di Largo del Nazareno manda un appello ai fuoriusciti di Sel e Scelta civica: “Il Pd è pronto ad accogliervi”. Secondo Orfini, “il Pd di fronte a un grande sforzo di elaborazione di risposte politiche alla crisi, ha bisogno di allargare il proprio campo d’azione anche a quelle forze che in queste settimane hanno dimostrato di non voler essere risucchiate dal radicalismo di una sinistra antagonista a prescindere, o dagli eccessi tardo liberisti di un centro che di liberale ha molto poco”.

Insomma, un netto cambio di prospettiva per l’ex giovane turco che alle scorse primarie sostenne Gianni Cuperlo e nel 2012 diceva: “Il punto è che non è pensabile che il PD debba diventare una specie di UdC un pochino più di sinistra. Non è così. Non è più così. E per questo il nostro partito dovrà prepararsi alle elezioni contrapponendosi in modo chiaro al PPE italiano, all’UdC più il PdL, dimenticandosi ciò che è stato il ‘Lingotto’ e configurandosi sempre di più come fosse un grande PSE italiano”.

In realtà, sebbene il Pd abbia aderito al Pse, l’arrivo di Renzi a Largo del Nazareno ha rappresentato proprio la prosecuzione del partito inclusivo disegnato da Walter Veltroni al Lingotto, quel “partito della nazione” di cui parla il premier.

Anche se “quella formula non mi appassiona”, spiega Orfini al quotidiano diretto da Mario Calabresi, ora “serve un partito rivoluzionario rispetto a quello che è oggi il Pd, all’altezza del 41% preso alle Europee”. Ciò è dovuto, chiarisce il presidente del Pd, all’“inevitabile processo di europeizzazione e semplificazione del nostro sistema politico”.

Ed ecco allora che per l’ex ribelle che preferiva “i Pearl Jam” ai “Paninari” rappresentati da Renzi e che lo definiva “l’ultimo giapponese di una linea abbandonata ovunque nel mondo”, oggi forse quella linea è da rivalutare. E quel partito fieramente di sinistra, immaginato fino a poco tempo fa dalla sua corrente, ora occorre aprirlo “a una nuova classe dirigente che c’è nella politica, nel Parlamento e nel Paese e che vuole combattere la nostra battaglia”, e quindi, come proposto sulla Stampa, anche ai moderati rappresentati da Scelta civica.

Concetti che sembrano riecheggiare “la tenda riformista” di cui ha parlato l’ex capo gruppo di Scelta civica Andrea Romano, prendendo in prestito l’espressione di Tony Blair: “Serve una tenda riformista. Anche in Italia c’è bisogno di una coalizione non ingessata. Bettini la chiama campo democratico, Chiamparino campo rafforzato. Serve una grande tenda del riformismo di Renzi, un grande soggetto politico che accolga tutte le culture e tutti i valori riformisti al di là delle ideologie fondatrici del Pd”.

Ma chi ha sempre creduto in quelle “ideologie fondatrici del Pd” sarà d’accordo?


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