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La diplomazia di Papa Francesco alla prova dell’Estremo Oriente

Terzo viaggio internazionale di Papa Francesco ma primo a essere connotato da una precisa missione diplomatica: fare breccia nel continente dove il cattolicesimo stenta a radicarsi, nonostante da decenni si parli con ottimismo di un’inversione di tendenza (almeno dagli anni Trenta, stando ai rapporti di Propaganda fide).

IL DOSSIER CINESE

Era dai tempi di Giovanni Paolo II che il Pontefice di Roma non metteva piede in Asia – eccettuata la Terra Santa – visto che Benedetto XVI non era mai riuscito a recarsi in Estremo oriente. In Corea per parlare ai coreani, ma con un occhio alla Cina, che per la prima volta nella storia ha permesso all’aereo papale di sorvolare il proprio territorio, benché non abbia ancora risposto al messaggio di saluto e benedizione ritualmente inviato dal Papa al presidente Xi Jinping. Non è ben chiaro se per volontà del governo o – come hanno suggerito alcuni media internazionali – per un “disguido tecnico”.

UN MILIONE DI FEDELI PER LA MESSA A SEUL

Papa Bergoglio ha scelto la Corea del sud, terra “in controtendenza”. Qui, il cattolicesimo da mezzo secolo sta piantando radici sempre più forti i cui frutti si vedono ora, con il dieci per cento della popolazione che si dice cattolica. Alla messa di sabato mattina davanti alla porta di Gwanghwamun, a Seul, per la beatificazione di 124 martiri, erano presenti tra gli ottocentomila e il milione di fedeli. Nell’omelia, il Pontefice ha detto che “oggi molto spesso sperimentiamo che la nostra fede viene messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo. E tuttavia i martiri ci richiamano a metter Cristo al di sopra di tutto”.

“LA COREA E’ UNA SOLA” 

La divisione delle Coree, ha detto Francesco parlando a braccio ai giovani radunati nel Santuario di Solmoe, “è un dolore. Il popolo coreano, che è uno solo, è una famiglia divisa. Un consiglio – ha aggiunto – pregare per i fratelli del nord”. E qui, per un attimo, come accade tante volte durante gli Angelus e le udienze generali del mercoledì, il Papa ha chiesto ai presenti di pregare in silenzio, in questo caso “per l’unità delle due Coree”. Infatti, ha detto poco dopo, “la Corea è una sola famiglia. Parlate la stessa lingua” e “quando in famiglia si parla la stessa lingua c’è una speranza”.

DA PYONGYANG PIOVONO MISSILI

La risposta, il giorno prima, era arrivata direttamente da Pyongyang, con il lancio dei tre missili da parte del regime del giovane despota Kim Jong-un. Diciassettesima esercitazione dall’inizio dell’anno. Appena toccato il suolo coreano, Francesco aveva detto che “la ricerca della pace da parte della Corea è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra”.

“COMBATTERE MODELLI ECONOMICI DISUMANI”

Qualche ora prima, nello stadio di Daejeon, il Papa aveva ammonito i sempre più numerosi fedeli coreani a non cadere in quella mondanizzazione più volte bersaglio delle parole di Francesco in questo anno e mezzo di pontificato: “Possano i cristiani di questa nazione essere una forza generosa di rinnovamento spirituale in ogni ambito della società. Combattano il fascino di un materialismo che soffoca gli autentici valori spirituali e culturali e lo spirito di sfrenata competizione che genera egoismo e conflitti. Respingano inoltre modelli economici disumani che creano nuove forme id povertà ed emarginano i lavoratori e la cultura della morte che svaluta l’immagine di Dio, il Dio della vita, e viola la dignità di ogni uomo, donna e bambino”.

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