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Le priorità di una vera Agenda Renzi per l’Italia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Come non era difficile prevedere la radicale trasformazione del Senato ben lungi dal bloccare la vita politica con logiche “da regime”, sta aprendo una nuova fase di riforme istituzionali. E in questo senso che Angelo Panebianco sul Corriere della Sera espone finalmente una posizione seria sulle preferenze: sono un elemento di restaurazione della Prima repubblica, cioè di un assetto che indeboliva la capacità dei cittadini di indicare concretamente chi deve governare. Maurizio Sacconi interviene in soccorso di Silvio Berlusconi richiedendo una soluzione presidenzialista. E persino una roccaforte della conservazione come Eugenio Scalfari “cede” sul Senato dicendosi disponibile ad abolirlo.

Tutto ciò avviene perché Matteo Renzi ha aperto a Silvio Berlusconi al contrario di Enrico Letta che aveva utilizzato un governo di unità nazionale per cercare di sgombrare dalla scena politica il leader storico del centrodestra. Qualche amico che se la dà da intenditore di politica estera mi spiega anche che i governi Monti, Letta, l’operare delle autorità centrali della Repubblica nonché di forze centriste, era subordinato all’egemonia tedesca sull’Italia che preferiva la confusione istituzionale determinata dall’evidente crisi della Costituzione a un recupero di sovranità nazionale. Quando con Renzi è prevalsa una qualche forma di spinta “americana”, preoccupata dall’eccessiva subalternità a Berlino, si è aperta un via riformista. Seguendo queste spiegazioni forse un po’ estremizzate anche il soccorso improvviso dei grillini che ha sbloccato la riforma (poi rinnegato, appena le cose hanno cominciato a marciare) avrebbe un coloretto a stelle e strisce.

Mah! Certi scenari forse vengono un po’ troppo complicati. Quel che si può constatare è che un processo si è messo in movimento e subito da Strasburgo al Cairo l’Italia ha acquisito qualche spazietto in più: senza esagerarne la portata perché peraltro spesso il modo di agire renziano mi pare più propagandistico che concreto.

Questo mi sembra l’elemento centrale del quadro politico che si sta determinando, senza nascondere gli elementi di perplessità: la riforma in sé del Senato è impasticciata anche perché poggia su Regioni in crisi. E in queste settimane stiamo gestendo un’altra confusa riforma come quella delle province. Sulla riforma centrale per la nostra Repubblica, quella della giustizia, le proposte del Guardasigilli Andrea Orlando sono ancora troppo timide. E tutto ciò senza parlare della situazione dell’economia, della pioggia di tasse che sta cadendo sulle nostre famiglie, degli orizzonti di deflazione che si stanno delineando.

Tutto vero. Però senza riforma istituzionale non c’è né la possibilità di controllare adeguatamente lo Stato e quindi di avviare scelte economiche serie. Né un nostro indispensabile peso su un’Europa in cui contereno solo se avremo ricuperato una qualche sovranità nazionale.

Dunque l’avvio di un nuovo processo ben lungi dal chiudere la fase riformista necessaria, di fatto la apre soltanto e anche in modo imperfetto. Ma decisivo: perché scalza il conservatorismo vecchicostituzionalista del centrosinistra e costringe il centrodestra a confrontarsi con problemi sistemici invece che appiattirsi (spesso farsi appiattire da certi corpi dello Stato, certo establishment, certi sistemi di influenze straniere) sulla gestione.

La via è ancora lunga e senza presidenzialismo, nuovo regionalismo, ridiscussione dell’Europa Berlinocentrica e giustizia non politicizzata (impossibile senza innanzi tutto la separazione delle carriere) non porterà da nessuna parte.

Però adesso è impossibile imboccarla. Sarò bene non fermarsi subito per esempio disgregando la dialettica politica alternativa nel Paese che solo può assicurare un sistema politico sano in grado di riformarsi. Ecco perché le primarie per le regionali, le liste civiche a sostegno della ricomposizione del centrodestra, programmi in sintonia con le forze sociali che vogliono uno Stato meno impiccione sono il primo contributo per rafforzare anche il processo di riforma istituzionale.


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