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Le pubbliche relazioni color rosa

Qualche tempo fa su questo blog diffusi alcuni dati sull’identikit del lobbista o addetto alle pubbliche relazioni italiani. Tra i dati, uno era particolarmente intrigante, forse perché nettamente in controtendenza con l’opinione comune: 6 volte su 10 l’addetto alle pubbliche relazioni in Italia è donna. 

Quella della predominanza femminile nel settore delle pubbliche relazioni non è una tendenza nazionale. Al contrario, trova forti riscontri anche all’estero. Negli Stati Uniti il Bureau of Labor Statistics certifica che il 63% degli addetti alle pubbliche relazioni è donna. Un dato ancor più strabiliante se messo a paragone con la percentuale di componente femminile della forza lavoro complessiva: sul mercato statunitense si aggira intorno al 47% ((Women’s Policy Research).

Sei su 10 sembra un dato realistico, sia per gli States che per l’Italia. C’è anche chi gioca al rialzo. Sempre a proposito del mercato americano Ragan PR arriva addirittura a quantificare in 73% la componente femminile rispetto a quella maschile nel settore PR. L’università di Syracuse spara ancora più alto: 83% sarebbero donne. Praticamente una maggioranza schiacciante.

Se consideriamo il settore PR e quello “news” assieme (non di rado, infatti, comunicazione, marketing e PR sono parte della stessa struttura aziendale) e lo applichiamo al sistema Usa, abbiamo l’evidenza grafica di quanto detto. Il 51% della forza lavoro è donna:

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A qualcuno, probabilmente ai colleghi maschi, potrà non far piacere. Un articolo uscito su The Cut recentemente si è chiesto perché continuiamo a considerare il settore delle pubbliche relazioni come un “ghetto rosa” (Qui l’articolo). C’è chi sostiene lavorare nel settore, per una donna, è un modo per sfuggire alla frustrazione di trovare un (buon) lavoro nel giornalismo. Il che è vero solo in parte, dal momento che lo stipendio medio di un giornalista, uomo o donna, è inferiore, a parità di condizioni, a quello del collega specialista di pubbliche relazioni. C’è anche chi pretende di porre distinzioni tra public affairs e public relations. I primi, dove si chiede preparazione e tecnica, agli uomini. I secondi, dove si chiede savoir-faire, alle donne. Al di la degli schemi troppo rigidi che non sono mai veritieri, tutti sanno che, più o meno, un lobbista spende una percentuale del suo tempo di lavoro nel fare pubbliche relazioni; come un “relazionista” puro passa del tempo a studiare scenari e soluzioni, prima di partecipare ad aperitivi e cocktail.

La verità è che, fatte salve le dovute eccezioni, le donne hanno spesso una marcia in più nella capacità di convincere e gestire le attività tipiche del PR. E per questo motivo – ripeto: fatte le dovute, e numerose, eccezioni – sono più numerose dei colleghi maschi. Una celebre serie televisiva di questi ultimi anni, Mad Man, racconta a suo modo la storia di questo sorpasso. Cioè la storia di Peggy, prima segretaria, poi partner, infine titolare della sua agenzia di PR, in un mondo inizialmente dominato da uomini, da duri come Donald Draper. Che però alla resa dei conti si rivelano i più fragili e indifesi.


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