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Obama ha già usato la parola “tortura”, ma stavolta è diverso

Il primo agosto del 2014 sarà ricordato negli Stati Uniti, come il giorno in cui il Commander-in-Chief ha ammesso che i suoi militari erano usi torturare i prigionieri. Non è roba da poco.

Obama, durante una conferenza stampa, ha testualmente detto: «We tortured some folks; […after 9/11] we crossed the line and that needs to be understood». Abbiamo fatto cose contrarie ai nostri valori, ha aggiunto.

L’utilizzo della parola “tortura” – arrivato nel mezzo di un discorso in cui in realtà il presidente stava parlando delle attività di controllo operate dalla CIA sui computer del Senato (altro guaio) – ha colto tutti di sorpresa. E in effetti non è una definizione usuale: finora, infatti, le tecniche di interrogatorio operate dai servizi e dai militari specializzati durante l’amministrazione di G. Bush – e conseguenti all’azione counter terrorism globale post-9/11 – erano state definite “metodi di interrogatorio rafforzati” (e vietate dalla stesso Obama dal 2009).

Tuttavia non è la prima volta che Obama utilizza la “T-word” per definire certi metodi. Non ce ne ricordiamo, come scrive Max Fisher su Vox, perché quando si accede all’argomento “Sicurezza” con riferimento all’attuale Amministrazione, la mente va automaticamente a due temi ben meno liberali dell’ammissione di responsabilità sugli interrogatori: le indagini dell’NSA, caso di spionaggio internazionale che la storia ricorderà come “Datagate“, e i drone-strike con cui il Prez falciato terroristi in giro per il mondo, “mettendo deliberatamente la firma presidenziale su un contratto di omicidio” (come sostengono molti dei detrattori).

Nell’aprile del 2009 criticò la tecnica del waterboarding, avallata dal segretario alla Difesa Dick Cheney (in carica fino a pochi mesi prima): Cheney in un intervista aveva detto di non credere che «un tuffo in acqua» potesse essere considerato una tortura. Obama invece all’opposto: «Io credo che il waterboarding sia una tortura, e qualsiasi scappatoia legale utilizzata [per giustificarlo] sia stata un errore».

Due anni dopo, nel 2011 che portava alla campagna per la sua rielezione e mentre i repubblicani facevano a gara per l’uscita più da duro in difesa di certe tecniche d’interrogatorio, Obama tornò sul waterboarding. «Chiunque abbia effettivamente letto e compreso la pratica del waterboarding, può dire che è una tortura. E [torturare] non è qualcosa che facciamo».

Ma nonostante le dichiarazioni di Obama su questi metodi siano state sempre coerenti nella condanna, nel tempo la linea del presidente è  stata spesso offuscata.

Se da un lato spingeva continuamente sulla trasparenza e sulla necessità di indagare sulle possibili responsabilità, facendo infuriare i falchi del Congresso e delle Forze Armate; dall’altro ha utilizzato metodi molto soft contro i coinvolti, rifiutando di perseguirli legalmente, tirandosi dietro le critiche di chi a sinistra vorrebbe vedere in carcere i responsabili di quegli interrogatori.

Adesso sul tavolo c’è una relazione della Commissione intelligence del Senato di 6300 pagine – già definita “torture report” -, in cui sono raccolte molte informazioni sugli interrogatori  (la redintion, la detenzione, i programmi, insomma tutta la trafila della gestione dell’analisi di intelligence RDI dietro ai sospettati). Obama spinge da tempo per la pubblicazione, via fondamentale per far comprendere agli americani quei passaggi di lotta al terrorismo, le Agenzie e una buona fronda di parlamentari si sono opposte. Ma Obama alla fine l’ha spuntata, e la relazione la settimana prossima potrebbe diventare pubblica.

Dunque a differenza delle altre volte in cui Obama ha definito “torture” gli interrogatori americani, stavolta la pesante definizione del presidente può trovare la fondamentale pezza d’appoggio del report – che secondo le prime indiscrezioni avrebbe un contenuto «sconvolgente» (citazione dal Daily Beast).

Il rapporto di 600 pagine che una speciale commissione ha redatto a sintesi delle oltre seimila originali, non è stato concepito per essere un documento legale, ma per dare una valutazione documentaria dei fatti. Comunque non è detto che non lo diventi.

Nel testo non si arriva mai a definire i metodi “torture“, perché si tratterebbe di una accusa talmente grave da portarsi dietro implicazioni politiche, diplomatiche, legali, e persino criminali: Obama invece ha usato quella fatidica parola, creando – forse – il presupposto.

@danemblog 

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