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Obama e il dilemma tra guerra e pace in Irak

E’ duro per i pacifisti affrontare la realtà della storia. In un mondo dove dominano egoismi e male, occorre molta fede per ritenere che possano essere sconfitti dall’amore e dalla solidarietà. Molti pensano che si tratta d’ipocrisia. Ci si gira dall’altra parte, facendo finta che non sia avvenuto nulla e accontentandosi di condannare la guerra e di esaltare la pace.

I rapporti fra guerra e pace sono più complessi di quanto spesso si creda. Nessuno fa la guerra per la guerra, ma per la pace che segue la guerra. Chi inizia la guerra in senso tecnico del termine è il difensore. L’aggressore è sempre pacifico. Vorrebbe imporre la sua pace senza sparare un colpo. Il difensore, come spiega chiaramente Lenin nelle sue “Noterelle sul trattato del generale von Clausewitz”, invece spara nella speranza di non subire la pace che vuole imporgli il conquistatore. E’ un dilemma, antico come il mondo, fra aspirazioni etiche e profetiche e realtà effettuale della politica. Aveva cercato di affrontarlo la dottrina agostiniana-tomistica della “guerra giusta”, ripresa autorevolmente dal “Catechismo della Chiesa Cattolica” del 1985, ispirato se non scritto in gran parte di proprio pugno dal Papa emerito, Benedetto XVI.

In sostanza, riprendendo alcune tesi di padre Neibuhr, il consigliere e ispiratore spirituale del grande politologo realista Morgenthau, per predicare la pace occorre aver compreso natura e meccanismi interni del fenomeno bellico. Non piacerà a chi applaude acriticamente le invocazioni alla pace, ma è l’unico approccio serio che può essere seguito: “Se vuoi la pace, comprendi la guerra”, è il titolo di un libro che scrissi per Laterza nel 1996.

L’argomento è tornato d’attualità con le violenze contro i Cristiani del Medio Oriente. Esse sono destinate ad aumentare con la diffusione del radicalismo islamico, la cui più recente manifestazione è lo Stato Islamico, già Stato Islamico dell’Iraq e del Grande Levante. Lo stesso era accaduto nel 1995 per la Bosnia-Erzegovina. Allora si era verificato uno strano “miracolo ornitologico”. I pacifisti, cioè le colombe sia di professione che estemporanee, sostenuti da gran parte delle opinioni pubbliche occidentali, chiedevano agli USA e alla NATO d’intervenire per far cessare i massacri. Gran parte di coloro che per scelta sono professionisti della forza o, almeno, sono pagati per esserlo come i generali, cioè i falchi, invitavano invece alla prudenza. Erano contrari a impelagarsi nel ginepraio balcanico.

E’ il dilemma che sta affrontando Obama, ma che risuona nelle omelie di molti capi spirituali, primo fra tutti Papa Francesco. Che fare? Certamente, il cupo “califfo” dello Stato Islamico non si fermerà, commosso dagli appelli alla pace e alla fraternità. Fa riferimento all’interpretazione più rigorista dell’Islam – quella del “Messaggio della Mecca” o “Libro della Spada”, fatta propria dai wahhabiti, pilastro portante della dinastia saudita. Gli “adoratori del demonio” devono convertirsi all’Islam o essere uccisi. Piaccia, o no, è un obiettivo molto simile alla “cristianizzazione degli Indi”, con cui fu giustificata la colonizzazione spagnola e portoghese dell’America Latina e la distruzione di gran parte delle popolazioni indigene non convertitesi.

Tornando al dilemma fra guerra e pace, nessuno pretende che una grande autorità spirituale come il Capo della Chiesa Cattolica, chieda un intervento militare occidentale per la difesa dei Cristiani del Medio Oriente, da quelli siriani a quelli iracheni. Nel caso della Siria, dove i cristiani sono protetti dal regime alawita, si è opposto all’intervento USA a favore degli insorti sunniti. Deve limitarsi ad auspicarne la protezione, senza specificare però nei dettagli come realizzarla. Destano invece stupore e, in me, addirittura costernazione le esitazioni del presidente Obama, le sue contraddizioni sugli obiettivi dell’intervento (difendere gli interessi americani o evitare il genocidio di cristiani) e le limitazioni che ha posto all’impiego della forza). Giustamente, Massimo Gaggi l’ha definito “presidente non solo riluttante all’uso della forza (il che può essere giustificato), ma anche recalcitrante”. Con grande spasso dei “guerrieri di Allah”, Obama bombarda e chiede nel contempo “pardon!”, promettendo di non andarci giù duro. Il raid aereo iniziale è stato condotto con due soli cacciabombardieri, non con gli ottanta che imbarca la portaerei USA nel Golfo, a cui si sarebbero potuti aggiungere gli oltre cento schierati in Qatar e Kuwait. Sembra quasi che Obama abbia voluto chiedere scusa al Califfo Abu Badr al-Baghdadi, per essere stato costretto a intervenire, rassicurandolo che non farà le cose sul serio. Se comincia così, l’azione USA non salverà cristiani e yazidi, ma si concluderà o con un’escalation generale, per impedire la sconfitta dei curdi, da sempre fedeli alleati degli americani, o con una sconfitta non solo politica, ma anche militare di quella che rimane la sola superpotenza del mondo.

Facile criticare gli USA! Almeno loro stanno facendo qualcosa. E l’Europa? Smilitarizzata, anche culturalmente, e irrilevante. Eppure, se il Califfato dovesse consolidarsi ed estendersi alla sponda Sud del Mediterraneo, a iniziare dalla Cirenaica, saranno guai per tutti. Anche il Regno Unito, pur plaudendo alla decisione americana, ha detto che non parteciperà. Solo la Francia si è dichiarata pronta ad intervenire.

Dall’Italia, nulla se non la patetica solidarietà dichiarata dal Ministro Mogherini, non si capisce bene se sull’intervento militare USA o sulle limitazioni poste a esso da quello strano “comandante in capo”, che è Barack Obama, premio Nobel per la Pace. Forse una rilettura di Clausewitz farebbe bene a tutti! Non si può parlare di pace senza aver capito che cosa siano la guerra e i suoi meccanismi interni, immutati nella storia, poiché strettamente connessi con la natura dell’uomo. Quando s’impiega la forza lo si fa per vincere, cioè per costringere l’avversario ad accettare la pace che si è deciso d’imporgli.



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