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Ora Renzi pensi alle Pmi. Ecco cosa fare

Più passa il tempo più mi ritorna in mente il Codice di Camaldoli del 1945, quando le migliori intelligenze del Cattolicesimo italiano furono chiamate da Roma, in previsione della ricostruzione dell’Italia, a pensare il futuro, una attività che ormai sembra sempre più rara.

“Il diritto di proprietà privata corrisponde alla natura delle cose” (Vita Economica, parte 4, 1) e, però, “la proprietà privata è un mezzo di l’uomo dispone per portare a compimento la sua missione su questa terra” ( ibidem p. 4, 5).
Ecco qui, a parte la filosofia tomistica e le citazioni da San Paolo, dalla “Epistola ai Romani” che costruisce la Chiesa Universale al suo inizio storico, il nucleo dei problemi italiani del nostro tempo.

Secondo gli ultimi dati statistici disponibili, ci sono oggi attive in Italia 3.820.000 PMI, più di quelle esistenti un Germania e Regno Unito messe insieme.
In linea di massima, sempre secondo i dati, piuttosto rapsodici, delle strutture statistiche dello Stato e delle associazioni imprenditoriali, il 74% del totale delle PMI ha chiuso il bilancio in utile ma, nel Nord Est del boom, che è ormai una memoria generazionale, il rapporto tra i debiti finanziari delle PMI locali e il Capitale Circolante Netto è del 54,3%, mentre nel Sud, da recuperare, nello spirito di Camaldoli, alla imprenditorialità diffusa, arriva fino a un pericolosissimo 74,9%.

Vi immaginate cosa sarà il nostro Meridione senza la attuale, debole rete delle Imprese Piccole e Medie? Il regno della malavita, naturalmente, come accadeva ai tempi della splendida “Tammuriata Nera”, frutto anch’esso di una guerra persa.
Sapremo sostenere la democrazia del nostro Paese, e la sua libertà, con il Sud economicamente privo di impresa sana? Tremo alla sola idea. Questi sono i problemi veri, non le noiose e inutili manfrine sulla struttura del Nuovo Senato.
Si, lo so benissimo, si tratta di facilitare il meccanismo legislativo per poi fare presto con le grandi riforme ma, come notava Hegel nella sua Logica, non si impara a nuotare prima di gettarsi in acqua.
Ma perché, dico, non si pensa prima di tutto a questa risorsa economica, ormai unica, che bisogna tesaurizzare come se fosse la Galleria degli Uffizi?

La “liberalizzazione” della fine degli anni ’80 ha favorito sia i partiti politici ormai in fase di rapido decesso che i grandi vecchi interessi finanziari-industriali del “nucleo duro” del capitalismo italiano.
Le PMI italiane erano sorte come efficientissime costellazioni del Big Business nazionale, tra gli anni ’50 e i ’70.
Operai espertissimi inventavano una lega speciale per i pistoni, e la Piaggio pontederese li sosteneva con le sue richieste e le necessarie aperture bancarie.
Tanti bravi operai aderenti al Fronte Popolare negli anni fino al ’56 venivano licenziati per i noti motivi politici, in Emilia Romagna e in Piemonte e anche Lombardia, ma poi si ricostruivano come “padroncini”, spesso cambiando radicalmente le loro idee politiche.
La grande Impresa sostiene ancora la rete delle PMI, ma allora, quando il Big Business se ne va o fallisce, cosa succede?

Semplice: la autonomizzazione delle Piccole e Medie Imprese che scoprono il Mercato, che il Codice di Camaldoli prescrive ( 6, 2: rendere più efficiente il sistema economico della collettività, secondo un indirizzo organico che stimoli, controlli, coordini, senza violentarla, (N.B., N.d.R.) la libera iniziativa dei singoli).
Il liberalismo dei cattolici italiani, nel momento più tragico della storia moderna della Penisola, non ha niente da invidiare alla “linea” di Adam Smith nella sua Wealth of Nations, del 1776.
Ma oggi, cosa fare per salvare la nostra linea del Piave manifatturiera, le PMI senza orma il Grande Capitale che se è andato, si è trasformato in Rendita, o magari è fallito bruciando i soldi dei contribuenti?

Ecco qualche suggerimento per i Riformatori dell’Irrilevante:
Le Banche, all’inizio della crisi attuale, ancora pervase da titoli “tossici” o da vecchi incagliamenti delle Grandi Imprese, hanno dato a pioggia soldi a tutte le Pmi, le buone e le ormai “mature”, creando una crisi del credito.
E’ arrivata la rete CONFIDI, ma, dopo la grande bouffe, ormai la PMI rimangono in difficoltà, anche perché i mercati si sono fatti più globali, più complessi, più selettivi, più attenti alla concorrenza extraeuropea.
Ma la rete CONFIDI è andata rapidamente anch’essa in crisi, e oggi oltre il 50% delle PMI toscane, la Regione dell’artigianato “alto di gamma” ha forti difficoltà ad ottenere i finanziamenti di routine mentre le BCCI, le Banche di Credito Cooperativo, ormai quasi 450, aumentano significativamente gli impieghi.
Ma, comunque, i “crediti deteriorati lordi” in Italia, oggi, hanno raggiunto la cifra di 290 miliardi di Euro.

E allora, a parte le favole, come si fa a procedere per salvare quel che rimane del nostro sistema manifatturiero delle PMI?
Bene: 1) dedurre la tassa sugli immobili da reddito di impresa e IRAP, e dobbiamo ricordare allo Stato che è proibita la doppia tassazione, 2) si tratta di ridurre drastricamente l’onere annuo fiscale delle PMI, che oggi è di ben 10 miliardi, il 50% in più della media UE.
Bene, allora, invece di arrampicarsi sugli specchi della sempre presente e inutile Riforma Costituzionale, si tratta di:
a) unificare e quindi ridurre le tasse e le imposte sulle PMI,
b) Creare una Borsa Titoli delle Piccole e Medie Imprese, autonoma da Piazza Affari, che metta sul mercato degli investimenti (che ci sarebbero) i titoli emessi, a varia tipologia e garanzia, dalle PMI e da consorzi di PMI affini.
Il problema italiano è certamente oggi chiamare capitale estero per salvare il pochissimo big business che ci rimane, ma soprattutto accettare e generare liquidità, anche sul mercato internazionale, per sostenere le nostre PMI a secco di investimenti.

Quindi, dato che, se continuiamo così, anche il mercato delle nostre Piccole e Medie Imprese diventerà oggetto di conquista dal capitale internazionale (ci sono rubriche nei grandi quotidiani internazionali su “cosa comprare oggi in Italia”) che farà fuoriuscire esperienze, abilità, sapienze, e giocherà tutte le sue carte sulla popularity del marchio acquisito, allora sarà davvero bene generare un mercato libero, aperto, lecito, trasparente e regolato per rifinaziare le PMI che, tra poco, saranno acquisite a presso “amichevole” dal Big Capital globale.
E allora, dove andranno a lavorare gli italiani? Ci vorrà la vecchia linea del Codice di Camaldoli del 1945: “ la giustizia sociale, perciò, si pone quale concreta espressione del bene comune, come fine primario dello Stato e di ogni altra autorità”. (c.di Camaldoli, T. V, art. 71).
Allora, ripeto, un canale autonomo di finanziamento (e di selezione naturale) delle PMI, con una loro Borsa Riservata, e poi il ritorno a quella Economia Sociale di Mercato che, senza il Codice di Camaldoli del lontano 1945, è un puro flatus vocis.

Giancarlo Elia Valori

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