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Come rabbonire Putin sull’Ucraina. Parla l’ambasciatore Lenzi

La stretta di mano tra il leader russo Vladimir Putin e quello ucraino Viktor Poroshenko al vertice di Minsk rappresenta un primo passo verso una ricomposizione della frattura tra Russia ed Europa.
Segnali ancora timidi, ma che lasciano ben sperare secondo l’ambasciatore Guido Lenzi, già direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e Rappresentante Permanente presso l’Osce a Vienna, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché ora la soluzione della crisi è prevalentemente nelle mani dell’Occidente.

Ambasciatore, che giudizio politico-diplomatico dare del vertice di Minsk?

Questo incontro, il primo dallo scoppio della crisi, è un fatto in sé positivo.
Pur senza allontanarsi molto dalle sue posizioni, Putin, incontrando Poroshenko e discutendo della vicenda, ha riconosciuto la non estraneità della Russia a quanto accade in Ucraina. È importante sottolineare che il vertice non è stato bilaterale, a dimostrazione del fatto che anche Mosca e Kiev si rendono conto della natura particolare del conflitto che esige uno sforzo comune. Infine un dettaglio da non trascurare: l’incontro si è svolto alla presenza dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catherine Ashton. Forse un assaggio del ruolo che spetta all’Europa nei futuri sviluppi della crisi.

Quali sono i risultati più apprezzabili dell’incontro?

Nonostante le strette di mano, tutti sono stati molto prudenti. Sicuramente la volontà di impegnarsi per un cessate il fuoco è uno dei segnali migliori che si potevano lanciare. Molto dipenderà però da scelte future, come la definizione di un modello di decentralizzazione dell’amministrazione ucraina, una sorta di autonomia che tenga presente alcune delle istanze avanzate dalla minoranza russofona. Non solo. Sono già state indette nuove elezioni e non è ancora chiaro in quale misura saranno coinvolti nel processo i separatisti.

A Minsk però Putin ha detto che ciò che lo preoccupa maggiormente è l’accordo di associazione dell’Ucraina con l’Ue. Un punto sul quale Poroshenko non sembra voler indietreggiare. Quale dialogo è possibile?

Putin ha detto chiaramente che non considera la Russia come parte dell’Europa. Questo però non vuol dire che non possa esservi dialogo tra le due parti. Il presidente russo deve mettere da parte l’aut aut imposto a Kiev all’inizio della crisi, “o con noi – la ancora fumosa Unione doganale di cui fanno parte anche Kazakhstan e Bielorussia – o con l’Ue”. Ciò non ha senso, per il semplice motivo che una cosa non esclude l’altra. Se il problema è economico come pare di capire, dal momento che Bruxelles non ha proposto all’Ucraina una partnership politica, è possibile trovare un accordo che solo la comunità internazionale può agevolare.

Come? E con quale strategia?

Aiutando Putin a uscire dall’angolo in cui si è cacciato. Il modo migliore è quello di cambiarne il ruolo aiutandolo a diventare un attore responsabile in tante crisi nelle quali il supporto di Mosca sarebbe importante, come ad esempio in Medio Oriente.

Anche Papa Francesco non si è dimostrato estraneo alle vicende ucraine. Quale può essere il ruolo della diplomazia vaticana nel favorire un’uscita dalla crisi?

Importante, soprattutto per ciò che concerne il dialogo inter-religioso. Tuttavia siamo in una fase molto diversa da quella vissuta con Papa Giovanni Paolo II. Il ruolo del Pontefice è in qualche misura più defilato e potrà essere a mio avviso un ulteriore aiuto ad una crisi che sarà però risolta in altre sedi.



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