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Siemens, Adidas e Metro, ecco le imprese europee che più temono le sanzioni alla Russia

Le tensioni geopolitiche alla base della crisi ucraina potrebbero comportare “seri rischi” per la crescita europea in questo e negli anni a venire.

LE AZIENDE COINVOLTE

L’allarme lanciato oggi dalle pagine del Financial Times riguarda alcuni dei più grossi gruppi industriali del Vecchio Continente: una conglomerata come Siemens; Adidas, il secondo al mondo per abbigliamento sportivo; il gigante della grande distribuzione MetroVolkswagen, primo costruttore di auto in Europa; BP, Royal Dutch Shell e Total nel settore degli idrocarburi.

Per queste imprese gli affari sarebbero già in calo, con conseguenze immediate per le compagnie quotate in borsa.

LE SANZIONI ALLA RUSSIA

Lo scorso 29 luglio l’Unione europea ha deciso di colpire l’economia di Mosca per costringere il presidente Vladimir Putin a esercitare la sua capacità di pressione sui separatisti filorussi nell’Est dell’Ucraina, dove le forze di Kiev stanno avanzando sul terreno. Gli ambasciatori dei ventotto Paesi riuniti a Bruxelles hanno concordato una serie di misure per bloccare l’accesso ai mercati finanziari europei per le compagnie e le banche russe, per vietare tutte le nuove vendite di armi e di tecnologie sensibili nell’ambito dell’energia e degli strumenti duali – civili e militari – alla Russia. Hanno inoltre stabilito il congelamento dei beni di quattro uomini d’affari russi, considerati vicini a Putin, accusati d’aver ottenuto benefici dall’annessione della Crimea e di sostenere attivamente i separatisti nell’est.

LA CAUSA SCATENANTE

È la prima volta che l’Ue ha aggredito settori fino a quel momento sostanzialmente non toccati. Una scelta maturata anche a seguito dell’abbattimento sull’Ucraina orientale di un Boeing 777 civile della Malaysian Airlines con 298 persone a bordo, attribuito ai separatisti filorussi.

GLI EFFETTI SULL’EUROPA (E SUGLI USA)

Tuttavia, in un’economia globalizzata e interconnessa, gli effetti delle sanzioni non ricadono solo su chi le commina. Una manciata di giorni fa, sempre dal Regno Unito, era stato il Daily Telegraph a spiegare che proprio a causa delle nuove sanzioni, gli oligarchi russi che vivono e operano a Londra starebbero meditando di spostare (o forse già facendolo) capitali e conti e a disfarsi delle tante proprietà immobiliari acquistate in questi anni (spesso, si suppone, per riciclare denaro).

Oggi è il quotidiano della City che invece sottolinea effetti negativi ancora più concreti sull’economia reale, che non risparmiano nemmeno grandi aziende americane attive prevalentemente nel circuito finanziario come Visa e Mastercard.

UN IMPATTO LIMITATO?

Cosa accadrà nel medio termine non lo sa nessuno, nemmeno imprenditori e banchieri interrogati dal quotidiano finanziario. Quel che è certo è che oltreoceano, invece, il dibattito verte sull’aspetto opposto. Le sanzioni – tenute a freno anche dagli Usa per non nuocere troppo agli interessi energetici, bancari e commerciali del Vecchio Continente con Mosca – non saranno troppo blande per nuocere davvero alla Russia di Putin? In parte è così per il Wall Street Journal, contraltare americano del FT, che pur non abbandonando la bussola dell’atlantismo segnala così una inedita e parziale divergenza di vedute nel finora granitico asse anglo-americano.

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