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Tutte le ipocrisie su articolo 18 e decreto Poletti

Ha avuto il suo momento di notorietà Umberto Buratti sindaco (Pd) di Forte dei Marmi, ridente località balneare nel cuore della Versilia. Preoccupato per il cattivo andamento della stagione turistica, funestata da pessime condizioni meteorologiche, il sindaco si è fatta venire un’idea: si tengano aperti gli ombrelloni e i bagni per tutto il mese di settembre per consentire ai villeggianti un supplemento di ferie. Così, il nostro ha pensato bene di chiedere al ministro Stefania Giannini di posticipare l’inizio dell’anno scolastico al 1° ottobre. Agli atti non risulta se il sindaco avesse avuto delle garanzie dirette da parte dell’Onnipotente sulla mitezza del clima nelle prossime settimane. E’ del tutto evidente, però, che a Buratti è sfuggito un particolare abbastanza significativo per il buon esito della sua proposta. Succede normalmente che i ragazzi vadano al mare accompagnati dai genitori, i quali a settembre sono già ritornati al lavoro, se hanno la fortuna di averne uno.

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Crediamo che, dopo la riforma del contratto a termine, con l’abolizione della causale per tutta la sua durata e con la possibilità di ben 5 proroghe, il problema dell’articolo 18 sia fortemente ridimensionato, certamente per le nuove assunzioni. Il decreto Poletti, infatti, ha aperto, a favore delle imprese, un’uscita di sicurezza per almeno un triennio (sempre che la Corte di Giustizia non accolga il ricorso della Cgil). Pertanto, il governo e la maggioranza possono confezionare il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti nel modo che ritengono ‘’politicamente corretto’’. Poi possono appenderlo ad un attaccapanni e mettersi in attesa di  qualcuno se ne avvalga.

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E’ il caso allora di una breve full immersion nella vita reale. Il datore di lavoro, al momento di procedere ad un’assunzione, avrà a disposizione una seria di strumenti contrattuali. Scarterà subito i c.d. contratti atipici che la riforma Fornero ha caricato di requisiti di legittimità tali da renderli impraticabili. Avrà davanti a sé una prateria messa a sua disposizione dal nuovo contratto a termine ‘’made by Poletti’’ con le caratteristiche che abbiamo ricordato e  senza problemi di contenzioso alla scadenza. Poi gli sventoleranno davanti agli occhi, alla stregua di un drappo rosso, il nuovo contratto a tempo indeterminato, libero da vincoli per un certo lasso di tempo.

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Ma sembra plausibile che soltanto per una questione di principio – poter parlare di contratto a tempo indeterminato e non di contratto a termine – nel primo periodo operi solo il licenziamento ad nutum? Evidentemente no. Ne deriverà che la risoluzione del rapporto di lavoro sarà accompagnata dalla corresponsione di un’indennità ragguagliata alla durata del rapporto stesso. Ecco quindi un primo handicap rispetto al contratto a termine. Poi,  in questo modo non si andrebbe a pascolare sul terreno riservato all’apprendistato, se l’assunzione dovesse riguardare un giovane? Il datore avrebbe comunque interesse  ad utilizzare quest’ultimo istituto anziché l’oggetto misterioso del nuovo contratto a tempo indeterminato,  se non altro perché l’apprendistato  gli costerebbe meno di contributi. Inoltrandosi, poi, lungo il percorso delle tutele crescenti,  il datore correrebbe il rischio di essere chiamato in giudizio, al momento della risoluzione, tanto in regime di tutela obbligatoria (con la penale quale sanzione per il licenziamento illegittimo), quanto in quello di protezione reale  (con la reintegra giudiziaria).

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Conclusione: il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti verrà incartato ed infiocchettato come un uovo di Pasqua per farne omaggio a Pietro Ichino. E dimenticato.

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