La loro immagine nel palco della Festa dell’Unità di Bologna li ha consacrati a leader indiscussi delle forze progressiste nel panorama politico del Vecchio Continente. La cui riscossa dalla spirale recessiva può ripartire soprattutto dai Paesi più colpiti dalla crisi: Italia, Spagna, Francia.
È per questo motivo che analisi e osservatori guardano con attenzione a Matteo Renzi, Manuel Valls e Pedro Sánchez Castejòn e alla loro scommessa di governo. A rappresentare le affinità e le divergenze tra le tre figure di spicco della famiglia euro-socialista attraverso due corrispondenze dal capoluogo emiliano è il Foglio firmate dal capo degli esteri Paola Peduzzi e da Eugenio Cau.
MATRICI DIVERSE
Un ritratto di Manuel Valls è offerto da Paola Peduzzi, che rimarca evidenti differenze rispetto a Matteo Renzi. Mentre il capo del governo di Parigi rappresenta e incarna un socialismo di marca liberale attivo nella storia della gauche d’Oltralpe, il presidente del Consiglio italiano rivendica radici familiari democratico-cristiane, una formazione popolare, un’esperienza nella Margherita e nell’Ulivo di Romano Prodi.
I CONFRONTI
All’indomani di una crisi di governo con il campione della sinistra del Ps Arnaud Montebourg ancorato a una visione economica nazionale-interventista e a una forte ostilità verso i pilastri dell’austerità europea, il primo ministro francese attende di conoscere l’esito del voto di fiducia dell’Assemblea Nazionale sul rimpasto del proprio esecutivo.
Nel Partito democratico, nonostante i fermenti, i malumori, le critiche pungenti dell’area legata a Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, la minoranza non osa pensare a una rottura aperta con l’ex sindaco di Firenze.
IL RUOLO DEI CAPI DI STATO
L’iniziativa del governo transalpino, scrive la firma del giornale diretto da Giuliano Ferrara, registra seri problemi di popolarità soprattutto per i tentennamenti del Presidente della Repubblica Francois Hollande sul fronte riformatore. In tal senso invece il numero uno del Pd può contare sul robusto appoggio e costante incoraggiamento del Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
OFFENSIVA COMUNE
L’orizzonte che guida l’azione dei governi di Roma e Parigi è il cambiamento di rotta dell’Unione Europea egemonizzata dal rigore di bilancio assoluto caro alla Germania di Angela Merkel, la promozione della crescita economica grazie a una marcata flessibilità nei parametri finanziari e tramite una considerevole riduzione delle tasse sulle aziende. Il tutto in cambio della realizzazione di riforme strutturali.
Progetto inclusivo attorno a cui i due leader aspirano ad aggregare tutte le formazioni progressiste europee. Ma che con grande difficoltà vedrà protagonisti i socialdemocratici tedeschi, ancorati alle ricette e alla filosofia economica della Cancelliera.
Renzi vuole portare avanti il piano con la forza del prestigioso risultato elettorale conseguito nel voto di maggio per il rinnovo dell’Assemblea di Strasburgo. Valls lo fa chiamando all’Economia il “banchiere liberale e anti-statalista” Emmanuel Macron.
LE EVOCAZIONI RETORICHE
Entrambi richiamano nei loro interventi l’opera coraggiosa e innovatrice compiuta da Tony Blair e Gerhard Schroeder negli anni Novanta. Allo stesso modo del premier italiano, il primo ministro francese afferma che “vi sono idee da difendere e mettere in pratica con il confronto continuo ma anche e soprattutto facendo quel che è necessario”.
I FRENI CONSERVATORI
Per tutti e due però le parole trovano più di un ostacolo nella realtà di nazioni refrattarie al cambiamento.
L’innovazione del mondo del lavoro prospettata dall’esecutivo di Parigi non coinvolgerà la legge sulle 35 ore settimanali rivendicata dalla “vecchia guardia” della gauche francese, Martine Aubry e Lionel Jospin in testa.
Renzi caldeggia da tempo una riforma di ampio respiro nell’ottica di un Welfare to work, ma il Job Act con gli interventi sul contratto unico a tutele crescenti e una rete di ammortizzatori sociali orientati al reinserimento attivo nel tessuto produttivo langue in Parlamento.
QUESTIONE FISCALE
Un’evanescenza ancora più palese nel terreno fiscale, requisito per una strategia lungimirante di sviluppo. Nessuno dei due leader progressisti ha finora intaccato il peso intollerabile della tassazione vigente su aziende, lavoratori e famiglie. E nessuno sembra averne l’intenzione.
LA RIVELAZIONE SPAGNOLA
Altre sono le analogie e le divergenze, rispetto al nostro Presidente del Consiglio, del segretario del Partito socialista operaio spagnolo Pedro Sánchez Castejón così come emerse nel ritratto delineato da Eugenio Cau sempre sul Foglio.
Candidato di rottura affermatosi a sorpresa nelle elezioni primarie di luglio per la guida dei progressisti iberici, l’erede di Felipe Gonzales e José Luis Rodrìguez Zapatero ha rappresentato l’autentica rivelazione della giornata di chiusura della Festa dell’Unità.
LA PRIORITA’
Ciò che lo distingue maggiormente da Renzi è un duplice fattore.
Mentre il premier italiano ha privilegiato la revisione costituzionale del bicameralismo parlamentare, la modernizzazione dell’apparato statale, l’innovazione della scuola, il leader socialista spagnolo vuole prima di tutto “modificare la riforma del lavoro realizzata dal Partito popolare e rivedere la flessibilità, la sicurezza e il rapporto tra dipendenti e imprenditori”.
IL RILANCIO
La ricetta per promuovere una crescita ancora troppo timida per una realtà con una disoccupazione giovanile record consiste in una miscela di agevolazioni fiscali per stimolare l’assunzione di ragazzi e di industrializzazione capillare: “Una fabbrica in ogni paese e città, per fermare la fuga delle aziende dall’Europa”.
Industrializzazione e investimenti pubblici. È nel rilancio di un binomio per trent’anni impronunciabile nel lessico economico e mediatico il tratto qualificante della visione di Sànchez Castejòn rispetto a Valls e Renzi.
VOCAZIONI MAGGIORITARIE
Grande consonanza fra i tre leader progressisti europei si riscontra invece nel riconoscimento che una strategia complessiva di crescita deve partire dal risanamento dei conti pubblici. L’aspirante premier spagnolo parla di un “Psoe pronto a ripudiare antichi totem, a rinnovarsi per abbracciare una vocazione maggioritaria alternativa alla sinistra protestataria e populista”.
PAROLE D’ORDINE
Tuttavia, rimarca il Foglio, emerge nei suoi interventi un lessico assente nel numero uno del Nazareno. Un linguaggio che pone l’accento su valori classici del patrimonio socialista, nella loro precisa gerarchia: eguaglianza, passione per la giustizia sociale, libertà.
Principi che peraltro devono essere affinati, approfonditi, illustrati in vista del voto politico generale del 2015. E che, per ora, rimangono una suggestiva evocazione. Esattamente come ama fare il premier italiano.