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Anche in Banca d’Italia ci sono gufi e rosiconi?

No, non si può inserire pure la Banca d’Italia tra i gufi e i rosiconi additati da Matteo Renzi. Forse sono disincantati, forse realisti. Sta di fatto che il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, personalità per nulla ombrosa, concludendo venerdì scorso a Sondrio una conferenza ha detto e messo per iscritto: “Per la nostra economia il ritorno sulla strada dello sviluppo non è scontato, né è facilmente alla portata”.

Non si può azzardare neppure l’ipotesi di un tasso di anti renzismo in Salvatore Rossi, un economista che da capo dell’ufficio studi di Bankitalia ha sfornato ricerche e libri che il segretario del Pd e presidente del Consiglio avrà di sicuro apprezzato e condiviso.

Il numero due della Banca d’Italia, in una conferenza organizzata dalla Banca Popolare di Sondrio, ha indicato per il governo due strade per imboccare nuovamente la crescita: sia “politiche macroeconomiche” (“volte a riportare stabilmente la domanda aggregata e il ciclo economico all’espansione”) sia politiche “strutturali” (“volte a riparare i difetti di vecchia data del mercato del lavoro e più in generale del sistema economico”).

Consigli scontati? Mica tanto. Sentir dire da un liberista, anche se non turbo-liberista (ma Rossi preferisce definirsi liberale), che serve spingere sulla domanda aggregata per tornare su un sentiero di crescita suona come una parziale inversione di rotta rispetto a decennali consigli della Banca d’Italia.

Nessuna polemica, solo fatti. Anzi parole. Basta rileggersi con calma quanto ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella recente intervista a Federico Fubini di Repubblica. Visco ha ricordato appunto il ruolo della domanda, il peso delle infrastrutture a fini di sviluppo e di crescita, ha sbeffeggiato un po’ l’ossessione verso le riforme strutturali, ha dubitato che la Spagna possa essere un modello per l’Italia (e qualche giorno dopo Mario Draghi ha detto il contrario) e ha invocato l’attuazione di quella flessibilità nel raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica che è insita nei trattati europei.

Non una sconfessione del rigorismo teutonico e della sfiducia liberista verso la spesa pubblica per investimenti, dunque, ma davvero poco ci manca…

Beninteso, Rossi venerdì scorso non ha fatto alcun accenno a un cambio di passo e di direzione di Bruxelles; tanto per sottolineare indirettamente quanto la pluralità di voci e impostazioni vige anche in Banca d’Italia. Eppure anche un liberista come il direttore generale di Palazzo Koch ha indicato rimedio statale per sanare un “fallimento di mercato”. Quello che, secondo Rossi, affligge il rapporto imprese-banche: il credito non affluisce come dovrebbe dagli istituti alle aziende, in particolare quelle medio-piccole (qui il testo completo dell’analisi di Rossi).

Due i rimedi indicati dal numero due della Banca d’Italia: cartolarizzazioni e garanzia pubblica. Sì, garanzia pubblica, sull’esempio del fondo centrale di garanzia che, operando sotto l’egida del ministero dello Sviluppo economico, garantisce in parte le banche che erogano prestiti a piccole e medie imprese.

Evidentemente queste garanzie pubbliche non rientrano tra i lacci e i lacciuoli che si dovrebbero spezzare per tagliare le unghie allo Stato.


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