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Caro Berlusconi, le primarie per le Regionali possono ravvivare il centrodestra

Sabato 6 settembre Il Giornale ha riportato i rinnovati malumori di Silvio Berlusconi contro l’uso delle primarie per la scelta dei governatori delle Regioni, ben dieci, che tra il novembre del 2014 e la primavera del 2015, andranno al voto. Dopo una brevissima stagione dove si era concordato anche da parte sua l’esigenza di strumenti di partecipazione popolare agli accordi di coalizione, sembrerebbe che si voglia tornare indietro.

Alcuni degli argomenti del leader di forza Italia non sono privi di ragionevolezza: innanzitutto per quel che riguarda la Calabria, dove la popolare presidenza di Giuseppe Scopelliti è stata decapitata da una decisione della magistratura che mi è sembrata eccessivamente severa e dove dunque i tempi per una consultazione popolare sono particolarmente stretti. D’altra parte è anche comprensibile che in tempi di caos politico, con il centrodestra assestato in parte al governo, in parte in un’opposizione dialogante sulla riforma istituzionale (e oggi anche in politica estera) e in parte in duro atteggiamento oppositivo, si cerchi di semplificare le scelte concentrandole nei rapporti di vertice.

Nelle situazioni più difficili la tendenza a chiudersi sotto un tettuccio che ci protegga è quasi naturale. Ma talvolta è la più sbagliata. In una situazione in cui sotto i 25 anni il 56% dei giovani vota per i grillini, dove la maggioranza relativa del popolo delle partite Iva fa la stessa scelta, quando il prestigio delle istituzioni (e proprio a partire dalle regioni) è sotto le scarpe, quando dall’estero si è in grado in ogni momento di destabilizzare il nostro Paese, il cercare soltanto il proprio “rifugio” finisce per trasformarlo in una sarcofago dal quale non si uscirà più vivi.

In questi ultimi anni ci siamo abituati a confidare nello stellone berlusconiano, nel magico imprenditore televisivo capace di ogni resurrezione. E la tentazione ad affidarsi ancora una volta a questo meccanismo è fortissima. Ma se si analizza la situazione razionalmente, se si valuta i livelli di popolarità che Berlusconi raccoglie, se se si ragiona sul fattore “rinnovamento” introdotto irrevocabilmente da Matteo Renzi nel sistema politico italiano, ci si rende conto che il semplice affidarsi al nobile demiurgo è una scelta perdente.

Io considero Forza Italia e il suo presidente un movimento che può dare ancora tanto a questa nostra nazione, io penso che sconfiggere le influenze straniere che hanno logorato il governo del 2008 grazie anche alla politicizzazione di aree dei nostri corpi dello stato, sia un dovere patriottico, ma queste valutazioni non annullano l’oggettivo  allontanarsi irreversibile di aree della nostra società dal “centrodestra quale è stato”: se si vuole ricostruire un movimento alternativo alla sinistra ed essere anche così in grado di difendere la sovranità nazionale, si deve trovare un nuovo approccio alla politica che rimotivi quella bella fetta elettorale centrodestrista che oggi vota per i grillini e quell’altra che si rifugia nell’astensione.

Berlusconi ha senza dubbio creato “uno spazio” che prima non esisteva, prima di lui parlare di ritirata dello stato fiscale era quasi una bestemmia: oggi però il movimentismo carismatico non è adeguato a dare sufficienti motivazioni all’elettorato da mobilitare. Non avere trasformato in modo articolato “il movimento” in “istituzione” ha prodotto le difficoltà di oggi che non sono risolvibili se non attraverso a una mobilitazione popolare di tipo nuovo di cui non vedo alcuna possibilità di espressione senza primarie e liste civiche.

Sono evidenti i rischi di confusione, di demagogia, di clientelismo, di opportunismo, di disgregazione di cui parla anche il leader di Forza Italia: ma gli accordi per gestire le nuove scelte, il patto tra chi le promuove, le regole per governare gli esperimenti di partecipazione popolare sono tutti rimedi disponibili su cui contare.

L’alternativa è il caos di cui il recente voto alle regionali in Piemonte e il miserabile risultato del centrodestra alle recenti amministrative sono la testimonianza più chiara. Non ci troviamo di fronte a scelte né facili né spontanee, ma l’alternativa è il suicidio.


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