Un organismo plurale, non unitario. Bastano queste parole di Gianni Cuperlo per comprendere come giorni e giorni di trattative, tira e molla, patteggiamenti alla fine siano serviti a poco. Matteo Renzi fa come sempre di testa sua e la nuova segreteria Pd svelata ieri in Direzione con più di un’ora di ritardo “assomiglia al suo staff”, commenta il bersaniano Alfredo D’Attorre.
Il segretario democrat tiene a mantenere la parità di genere. La nuova squadra è composta da otto donne e sette uomini. E meno male che nel nuovo Pd a trazione renziana le correnti non dovevano esistere più. La formazione è stata creata tutta con il bilancino per non scontentare nessuno. Anche se alla fine il presidente del Consiglio sceglie i suoi uomini per i ruoli chiave.
I RENZIANI
Sono renziani David Ermini (Giustizia), Ernesto Carbone (Innovazione e PA), Alessia Rotta (comunicazione), Lorenza Bonaccorsi (Cultura), Sabrina Capozzolo (Agricoltura). Si possono ormai considerare renziani anche l’ex civatiano Filippo Taddei, riconfermato all’Economia e il veltroniano Giorgio Tonini (Federalismo ed Europa). Oltre naturalmente a quelli che il premier ha ribattezzato in Direzione “Albano e Romina”: Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, riconfermati vicesegretari.
LA GESTIONE “UNITARIA”
Entrano Chiara Braga (Ambiente), Emanuele Fiano (Riforme), Francesca Puglisi (Scuola) per area Dem, la corrente che fa capo al ministro Dario Franceschini; Enzo Amendola (Esteri) e Micaela Campana (Welfare) per Area riformista guidata da Roberto Speranza; Andrea De Maria (formazione politica) in quota Cuperlo, Valentina Paris (Enti locali) per i Giovani turchi; Stefania Covello (Sud), ex margheritina vicina a Beppe Fioroni. Fuori dai giochi per loro scelta le aree vicine a Pippo Civati, Enrico Letta e Rosy Bindi.
COSA CAMBIA
Insomma, la “gestione unitaria” sbandierata con le nuove nomine cambierà poco gli equilibri nel Pd. Da una parte la folta schiera dei fedelissimi al leader, dall’altra la mugugnante e fin qui poco incisiva azione della minoranza dem.
RENZI VS. FASSINA SUL LAVORO
Come del resto dimostra lo scontro avvenuto ieri tra Renzi e Stefano Fassina. Il premier nel suo discorso sui Mille giorni alla Camera ha messo in guardia la sinistra sulla riforma del lavoro, minacciando il ricorso al decreto legge: “Al termine dei mille giorni il diritto del lavoro non potrà essere quello di oggi. Non c’è cosa più iniqua che dividere i cittadini tra quelli di serie A e quelli di serie B”. Pronta la replica via twitter dell’ex viceministro all’Economia: “Renzi dice no a diritto del lavoro di serie A e B. Propone tutte lavoratrici e lavoratori in serie C”.
Un ottimo antipasto per il menù fissato alla direzione Pd del 29 settembre, dedicata proprio a Jobs Act ed economia.