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Chi è l’uomo che cercano gli USA in Somalia

Lunedì primo settembre il brigadier general Wayne Grigsby, a capo della Combinated Joint Task Force Horn Africa di AFRICOM (il comando africano degli Stati Uniti), era in Somalia con il generale Dahir Adan Elmi, capo dell forze armate somale per ancora poco tempo – in giugno è stato sostituito da Abdullahi Anod.

Un saluto dopo una duratura collaborazione, potrebbe essere uno dei motivi che ha portato Grigsby a scendere in Africa dalle Kelly Barracks di Stoccarda (sede dei AFRICOM), ma forse c’è dell’altro. L’alto funzionario militare americano potrebbe essere andato a Mogadiscio per coordinare sul posto la contemporanea operazione al porto di Barawa, roccaforte dei miliziani islamisti di al-Shabaab situata nella regione meridionale di Lower Shabelle.

Da quanto diffuso dal portavoce del Pentagono, il contrammiraglio John Kirby, il raid è stato «solo» aereo – non ci sarebbe stato impiego di truppe di terra, ufficialmente, ma testimoni locali hanno raccontato di aver assistito allo sbarco di un piccolo commando che dopo uno scontro a fuoco, ha riportato sulle proprie imbarcazioni alcuni dei corpi degli uomini colpiti. Sono stati impiegati droni e velivoli con pilota (non definiti), che hanno colpito un accampamento e alcuni veicoli con Hellfire e bombe a guida laser. L’obiettivo, dichiarato dallo stesso Kirby, era un meeting di leader dell’organizzazione filo-qaedista: tra i presenti ci sarebbe stato anche l’emiro Moktar Ali Zubeyr, noto come “Godane”, figura di massimo rilievo del gruppo e mente dell’attentato al mall di Nairobi lo scorso settembre.

Inizialmente le notizie diffuse, soprattutto da fonti locali – non il massimo dell’affidabilità -, riportavano che Godane era stato ucciso negli attacchi, poi però, ancora adesso, il Pentagono non ha saputo esprimersi con chiarezza sulle sorti del terrorista. L’intelligence sta spostando risorse e concentrazione dal teatro iracheno per risolvere la questione. Sembra che sia stato ferito, e che diversi altri uomini dell’organizzazione, tra cui vari comandanti, siano stati colpiti – sembra anche che ci siano vittime civili, non confermate.

L’attacco è stato seguito da un’operazione di terra condotta dai militari somali in altre aree del paese, che ha riportato altri successi, dopo che nelle ultime settimane le truppe governative erano riuscite a sottrarre dal controllo degli Shabaab quattro importanti villaggi. Il governo di Mogadiscio, ha deciso – forse spinto dai successi militari – di offrire la possibilità di un’amnistia per i ribelli islamici combattenti, concedendo 45 giorni per la resa. A quanto pare la strategia somala è di sfruttare il forte impatto emotivo e organizzativo che la morte di Godane potrebbe avere sul gruppo affiliato ad al-Qaeda.

Ma chi era Godane per essere così importante?

Non è la prima volta che gli Stati Uniti lanciano blitz diretti a colpire i massimi vertici dell’organizzazione sia con droni, e in rari casi anche via terra. Il 21 settembre scorso, con l’attentato al centro commerciale Westgate della capitale kenyota ancora fresco, fu inviata una squadra di Navy Seals a “prendere” Abdulkadir Mohamed Abdulkadir (un miliziano conosciuto come “Ikrima”), considerato il capo materiale dell’attacco a Nairobi (dove persero la vita oltre sessanta persone). In quell’occasione però, le forze speciali americane fecero un fiasco, e furono costrette alla ritirata per la potente resistenza mostrata dagli Shabaab. Memorabile, poi, fu l’attacco a Mogadiscio del 1993 (durante l’operazione UNOSOM II Restore Hope), quando i miliziani riuscirono ad abbattere due Black Hawk della Delta Force mandati a colpire una riunione di alti notabili del signore della guerra Mohammed Farah Aidid – la vicenda fu ripresa nel film Black Hawk Down.

Il raid contro Godane è la testimonianza che l’uomo viene considerato come una minaccia globale – conferma della decisione presa in segreto, di chi aveva parlato il Washington Post ad inizio anno, di schierare un piccolo contingente di forze speciali statunitense a Mogadiscio (le prime, dopo il ’93). La paura è legata anche alle (molte) giovani reclute americane di origine somala, sensibilizzate, attirate, dagli Shabaab. Il rischio, poi, è che le principali organizzazioni africane (al-Shabaab, Aqim e Boko Haram), si possano coordinare e sincronizzare: per questo serve colpirle alla “testa”.

Godane, la “testa” degli Harakat al-Shabaab al-Mujahideen (HSM, così vogliono essere definiti) è stato colui che ha portato il gruppo nella scena della jihad globale: nel 2012, in un video di un quarto d’ora, dichiarò l’affiliazione del gruppo con al-Qaeda e giurò fedeltà alla guida suprema Ayman al-Zawahiri. Tra i suoi vanti c’è proprio l’idea dell’attentato al mall kenyota, oltre ad attacchi dalla minore risonanza (ma altrettanto sanguinari) tra Kenya e Uganda.

Godane, pochi mesi prima della strage a Nairobi, era uscito vittorioso da una sanguinosa faida interna all’organizzazione. Quattro dei suoi principali rivali erano stati assassinati: la motivazione, secondo Simon Tisdall del Guardian, sta nella visione più internazionalista che lui ha degli Shabaab, rispetto a quelle più limitate di altri leader.

Nato nel 1977, il misterioso Godane, avrebbe studiato brillantemente in Sudan e Pakistan – e si pensa che abbia ricevuto un addestramento militare in Afghanistan. Tornato in Somalia si è mosso nell’universo della defunta entità islamista Al-Ittihad Al-Islami (finanziata da Osama Bin Laden con l’obiettivo di sfruttare il marasma della caduta di Barre, per creare uno stato islamico nel Corno d’Africa); e poi si è costruito una posizione di rilievo nell’Unione delle Corte Islamiche, sconfitte dal governo di transizione durante la guerra nel 2006.

Sciolte le Corti e con il gruppo giovanile (gli Shabaab) che divenne autonomo, si ritrovò alla testa della catena di comando, diventando il comandante in capo dopo che un missile americano uccise nel 2008 l’allora leader Aden Hashi Ayro.

Un uomo che ha cercato muoversi nell’ombra per coordinare le dinamiche di una delle realtà terroristiche più pericolose in circolazione. Ma a differenza dell’iracheno, il somalo non sempre c’è riuscito. È osservatissimo, e più di una volta i droni sono stati in grado di ricostruire i suoi spostamenti. Nel blitz dei Seals di settembre scorso, l’obiettivo dichiarato era “Ikrima”, ma sembra che il vero bersaglio fosse proprio lui. Gli occhi dall’alto dell’intelligence americana, avevano visto bene anche lunedì: fonti di al-Shabaab hanno confermato ufficialmente che nel convoglio colpito dai missili americani era in viaggio Godane.

@danemblog

 

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