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La Cina impedisce il Ramadan; diritti umani calpestati

Come molti sanno, Il Ramadan è, per i musulmani, il periodo più importante dell’anno; i fedeli islamici rispettano il Corano e praticano il digiuno dall’alba al tramonto. Questa pratica è un’iniziativa individuale, che non vede obblighi nei confronti della società. In Cina, tuttavia, durante queste giornate di preghiera, i fedeli vedono espropriato il diritto di praticare la loro fede a causa di disposizioni pubbliche che vietano categoricamente la celebrazione del Ramadan.

AsiaNews ha riportato nel mese di luglio che diversi Dipartimenti governativi della provincia dello Xinjiang (regione da sempre teatro di tumulti in quanto abitata da varie etnie islamiche) hanno proibito ai propri funzionari pubblici e agli studenti di digiunare durante il Ramadan. Voci confermano di agenti di polizia che irrompono nelle abitazioni per verificare che venga rispettato il divieto. La notizia sconvolgente è che Pechino avrebbe appoggiato queste iniziative locali a causa degli attacchi terroristici che avrebbero colpito la Cina negli scorsi mesi. Le autorità avrebbero infatti additato iseparatisti Uighur (minoranza etnica cinese prevalentemente di religione musulmana) di essere colpevoli degli attacchi. Isaaq Yousef, capo del Consiglio per le relazioni islamo-cinesi (organismo para-statale che regola la vita dei musulmani cinesi nel Xinjiang), nega invece il coinvolgimento di Pechino.
La Bozhou Radio e la Tv University – entrambi media del governo – hanno dichiarato che il bando al digiuno si applica ai membri del Partito, agli insegnanti e ai giovani: “Ricordiamo a tutte queste persone che non è permesso osservare il digiuno durante il Ramadan“. Non è la prima volta che lo Xinjiang vieta il digiuno durante il Ramadan; già nel 2010 fu vietato e la motivazione all’epoca fu di preservare la salute dei giovani. Il divieto di celebrare il ramandan è stato denunciato dai gruppi di uighuri in esilio come un tentativo di sopprimere la cultura locale e come un attacco alla libertà religiosa.

GLI SCONTRI CON L’ONU

La Cina, negli ultimi tempi, si è spesso scontrata con gli organi internazionali per fatti analoghi a quello sopracitato. Il 22 Ottobre 2013, a Ginevra, la Commissione ONU per i diritti umani, che ogni anno analizza la situazione dei vari Paesi membri delle Nazioni Unite, ha posato lo sguardo sul governo del presidente Xi Jinping; un governo tristemente noto per la repressione della popolazione cinese.

Il leader Jinping si è macchiato, dell’arresto di un gran numero di dissidenti; caso eclatante quello dell’avvocato Xu Zhiyong, fondatore del movimento “Costituzione aperta” e sostenitore dello stato di diritto, arrestato ad agosto 2013. Chiaramente la preoccupazione più grande dell’ONU nei confronti della Cina resta sempre la “questione Tibet“. Solamente negli ultimi tre anni, più di 120 tibetani si sono dati fuoco per protestare contro la politica di repressione attuata nel territorio.

Questa politica aggressiva adoperata dal governo cinese, vanta una tradizione storica. Fu infatti Mao Zedong, nel 1957, ad introdurre la rieducazione attraverso i campi di lavoro, al fine di punire coloro i quali si comportavano in modi non conformi ai voleri delle autorità.

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