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Ecco le incognite politiche dell’opportuno piano anti-Isis di Obama

Oltre che sotto il profilo strategico, anche sotto quello politico, la linea descritta da Barack Obama mercoledì 10 settembre suscita vari interrogativi. Intanto, si deve basare sui peshmerga curdi. Non può però farlo più di quel tanto. Infatti, faciliterebbe la secessione delle regioni curde in Iraq, contrariamente al dichiarato obiettivo di Obama di mantenere l’unità di quel paese e anche della Siria. La costituzione di Stati curdi destabilizzerebbe poi la Turchia, facente parte della coalizione anti-ISIS. Contrasta, poi, con gli interessi di Teheran, di fatto alleato degli USA, anche se la cosa non può essere detta esplicitamente.

Gli USA, per legittimare il loro intervento, devono avere l’attivo sostegno degli Stati arabi e delle tribù sunnite in Iraq, come avvenuto con il dawa o “risveglio sunnita” nel 2006-08. Se i sunniti iracheni continueranno a sostenere l’ISIS in odio agli sciiti, le radici profonde del Califfato non potranno essere sradicate. Ma sostenere gli sciiti senza scontentare i sunniti è un po’ come fare la “quadratura del cerchio”. Lo stesso si dica per la Siria. Non si vede come possa essere evitato che l’intervento USA contro l’ISIS non rafforzi Assad, né come possa essere evitata la frammentazione dell’Esercito della Siria Libera e la creazione in Siria di una situazione caotica simile a quella libica.

Insomma, a parte i dubbi tecnici sull’efficacia della airpower decapitation strategy, registrati già in Somalia e nello Yemen, deve affrontare complesse contraddizioni politiche. Il loro superamento sarà possibile solo con continui compromessi. Essi diminuirebbero le possibilità di successo, conseguibile comunque solo nel lungo termine. L’attacco USA a obiettivi in Siria aumenterà le già forti tensioni fra Mosca e Washington, tanto più che l’iniziativa USA non è avallata da una risoluzione ONU. Che quest’ultima non dovesse essere richiesta è più che logico. Sarebbe stata bloccata dal veto della Russia.

La legittimità della decisione di Obama e l’evidenza che non si tratta di un intervento dell’Occidente contro l’Islam sono connesse con la partecipazione – verosimilmente poco entusiasta e piena di limitazioni – della decina di Stati arabi, che, non senza sforzi, Washington è riuscita a far partecipare alla coalizione.

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