Dobbiamo cambiare nome a questo trattato: non più Fiscal Compact, ma Fiscal Disfact.
Disfact come disfatta, come disfare quanto costruito in questi 60 anni di pace post bellica. Il Fiscal Disfact ha dentro di sé i prodomi della morte europea. Non permette di costruire i ponti tra generazioni, ponti chiamati investimenti pubblici.
Checché ne dica Draghi, il Documento di Economia e Finanza prevede dal 2010 al 2018 che questi calino da 51,8 a 41,5 miliardi, un calo del 31,3% in termini reali. Con questi fondi avremmo potuto ristrutturare tutte le nostre scuole fatiscenti, dando lavoro a tantissime piccole imprese di costruzione e manutenzione, oggi soffocate dalla crisi, e avremmo aumentato la produttività di maestri e studenti, che in ambienti più consoni insegnano e studiano meglio.
Mi domandano spesso cosa implica il Fiscal Disfact – o Fiscal Compact che dir si voglia – nella vita pratica della gente, ed è una buona domanda, che avrebbe tante risposte. Ma dato che la scuola è un tema molto attuale, ricordo che questo Trattato non permette – ad esempio – di mettere fine al divario di remunerazione tra maestri di scuola tedeschi ed italiani, di un terzo inferiori, bloccando così quella che Draghi ha indicato come la sola riforma del lavoro capace di renderci competitivi nella sfida globale con i Paesi emergenti, una sfida da basare su istruzione e competenze e non – utopisticamente – sul ribasso del costo del lavoro.
E sia chiaro che non stiamo chiedendo di diventare spendaccioni, né che siamo contro una vera spending review che è anzi essenziale a nostro avviso. Ma uno dei problemi più evidenti del Fiscal Disfact è che non permette di trovare le risorse per finanziare le necessarie spese per investimenti pubblici senza generare un’oncia di debito in più: con i suoi assurdi target numerici di riduzione del debito e del deficit in una situazione di recessione, infatti, mette una fretta isterica ai Governi. La fretta – si sa – è cattiva consigliera e ci costringe a mortali tagli lineari che sottraggono risorse a casaccio nell’economia, ai bravi e ai meno bravi.
E’ tempo di mandare a casa il Fiscal Disfact, firmate in tutte le piazze d’Italia il nostro referendum: c’è tempo fino al 25 settembre!.