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Gerhard Müller e la famiglia come perno della società

Ogni fase storica è segnata sempre anche da quanto avviene all’interno della Chiesa Cattolica. Quest’affermazione, che in sé potrebbe apparire singolare e strana, in realtà indica un dato di fatto importante per cogliere verso dove va adesso la nostra politica mondiale, europea, italiana.
Com’è noto, al centro della sensibilità corrente vi è la grande questione antropologica, vale a dire quella che risponde alla domanda: Chi è l’essere umano?

Dà testimonianza di questa tendenza il fatto che, ormai da qualche anno, tornano ciclicamente in discussione sul tavolo politico temi complessi e fondamentali come il valore della vita, la famiglia, l’educazione, il senso della sofferenza, la portata e il limite della libertà, eccetera.

La Chiesa, da par suo, non soltanto è intervenuta in passato per riaffermare alcuni principi imprescindibili, contenuti nella propria verità dottrinale, ma, recentemente, ha deciso di affrontare la questione della famiglia, in specie quella del matrimonio, in un sinodo straordinario che inizierà i suoi lavori il mese prossimo.

Molti si attendono una rivoluzione copernicana, ma ciò è uno spauracchio privo di consistenza, trattandosi di un argomento che ha un’ascendenza dogmatica definitiva.

È utile, invece, informarsi bene e capire. La casa editrice Ares, a tal fine, ha pubblicato un libro intervista del cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel quale l’alto prelato spiega, dialogando con Carlos Granados, la posizione solida da cui la Chiesa parte per discutere nel presente il grave problema della crisi della famiglia, che è crisi della persona, per cercare di mettere in atto alcune soluzioni pastorali utili per sacerdoti e fedeli.

Il primo dato che colpisce, nelle parole di Müller, è la chiarezza con cui la questione è impostata. In primo luogo, la famiglia non è identificabile in senso stretto con la fattualità di una convivenza qualsiasi. Il discrimine è fornito dalla decisione irreversibile che i coniugi assumono pubblicamente, nel quadro di una relazione tra un uomo e una donna battezzati che riproponga visibilmente il legame imperituro di Cristo con la Chiesa.

D’altronde, secondo il cardinale, unicamente in quest’ottica sanamente e santamente cristocentrica, è possibile comprendere l’essenza del matrimonio. Perché di lì discende tutto, anche l’intimo rapporto che collega la dimensione sponsale del matrimonio con la fecondità. Inoltre, è impossibile separare queste due caratteristiche originarie del matrimonio, vale a dire la decisione libera e resonsabile dei coniugi e l’unione e fecondità coniugale, senza uscire dal concetto stesso di famiglia, sfocandone indebitamente i contorni. Muovendo, viceversa, da una visione integrata del matrimonio diviene comprensibile il dovere educativo che concerne i suoi membri, in particolare i coniugi, nei riguardi dei figli, in relazione a se stessi e alla società stessa nel suo insieme. La famiglia, spiega Müller, è una ‘cellula viva’ che si mostra aperta verso gli altri, perché intimamente costituita dalla relazionalità di un impegno ‘per sempre’.

Ora, è esattamente tale presupposto intersoggettivo che allaccia immediatamente la famiglia all’antropologia, e più precisamente alla definizione stessa di persona. L’individualità umana non è, come ha bene spiegato il filosofo Paul Ricoeur, una semplice entità materiale esclusiva, una sorta di ‘particolare di base’, sciolto dal resto come una monade, ma è una singolarità corporea e spirituale che si allarga oltre se stessa, nell’ambito della propria differenza unica, stabilendo legami diretti e profondi con le altre persone. Insomma, una persona senza relazione non è ancora veramente persona, o non lo è più, perché si mantiene in uno spazio che è unicamente individuale, sentimentale, animale, senza superarsi nella reciprocità, nell’impegno donativo, nell’amore corrispettivo e generoso.

Perciò la famiglia è una scuola di educazione umana, perché rivela al suo interno la non autosufficienza chiusa dell’individuo, nonché il bisogno personale di vivere quotidianamente un’esistenza comunitaria nell’altro e per l’altro. La famiglia è, per ciò stesso, base della vita personale e fondamento della comunità sociale e politica.

Molti altri spunti emergono dalle parole sagge e autorevoli di Müller, non da ultimo alcune osservazioni sull’indissolubilità matrimoniale. Se l’adulterio, infatti, rientra in quei peccati gravi che Dio, attraverso la Chiesa, può perdonare al cristiano, non è possibile assolutamente introdurre invece l’idea che un matrimonio, contratto nella fede e liberamente, sia cancellabile e sostituibile con un altro, quando la reazione tra gli sposi si deteriora e entrambi i congiunti siano ancora in vita. La possibilità, spiega il prefetto, è resa impossibile dal vincolo precedentemente pattuito e pubblicamente convalidato.

Naturalmente, il matrimonio è un impegno etico che ha la sua espressione realizzata nella fedeltà e nell’impegno educativo pubblico, garantendo nell’amore reciproco una testimonianza ai figli e alla società di sicurezza, di speranza e di solidità psicologica. Soprannaturalmente, attraverso la trasfigurazione della grazia sacramentale, il matrimonio diventa, in aggiunta, sigillo divino indissolubile di unità d’amore tra due persone, e, unicamente così, manifestazione temporale della stessa natura eterna e trinitaria di Dio.

La rilevanza politica che consegue da questa visione cattolica molto limpida, semplice e permanente, è opprtunamente lasciata aperta e non trattata direttamente dal libro intervista.

Müller si limita ad osservare soltanto che la tradizione cristiana si è sempre opposta teologicamente e culturalmente a qualsiasi ‘aut-aut’. Dio e il mondo, Dio e l’uomo, Croce e Resurrezione, anima e corpo sono, difatti, entità diverse tenute insieme nell’unità della vita, e quindi mai separabili senza danneggiare l’ordine delle cose. Così l’antropologia cristiana assume i connotati di una visione teoretica e pratica personalista, comunitaria, generosa, aperta alla vita e dominata dall’amore, senza che nessuno di questi aspetti sia tralasciato e misconosciuto. In poche parole, l’esatto opposto del collettivismo e dell’individualismo, ideologie che, sia pure in modo opposto, presentano un umanesimo chiuso, sclerotizzato, materialista, unilaterale e nichilista.

Un ambito essenziale, nel quale l’errore di queste linee culturali attualmente dominanti appare in modo evidente, è, ad esempio, l’esperienza del dolore. Il male e la sofferenza, non solo fisici ma anche morali, sono infatti rifiutati come un’ingiustizia e rimossi mentalmente come contraddizioni irrisolvibili davanti alle pretese di diritti assoluti voluti da un individuo chiuso in se stesso. Il risultato è però la sconfitta dell’uomo e la disperazione. L’etica cristiana, invece, insegna ad avere speranza, a conoscere e accettare il dolore come una realtà umana che deve essere compresa e vissuta spiritualmente nella pratica personale e comunitaria della solidarietà. Anche il fallimento del rapporto sentimentale, d’altronde, va affrontato nel quadro della vita di famiglia e nella fedeltà all’impegno assunto con se stessi, con Dio, con il coniuge e soprattutto con i figli, misurandosi con i limiti della propria soggettività, senza perseguire unicamente degli istinti incontrollati e senza farsi abbagliare da illusioni di superbia false e fuorvianti.

Oggi, poi, che in Italia si discute su quali fondamenti ricostruire il centrodestra, queste parole così sagge e rassicuranti del cardinale Müller paiono veramente illuminare il sentiero. Una visione politica sana, che non voglia necessariamente accettare tutto quello che la secolarizzazione impone dal punto di vista comunicativo e mediatico, non può, infatti, che fondarsi su una cultura certa e sperimentata che metta al vertice delle proprie finalità l’idea di persona come relazione, la declinazione della società in termini di comunità, e la considerazione della natura umana come essenza oggettiva nella quale è possibile il pieno sviluppo nei doveri e nelle responsabilità della libertà originaria di ogni cittadino.

Una proposta politica popolare non è utile che si faccia ispirare, in fin dei conti, da modelli libertari da cui provengono i drammi anche economici del nostro presente, ma, all’opposto, dalla riscoperta di chi siamo come persone, in rapporto alla natura sociale dell’essere umano e a una vita comunitaria aperta positivamente alla trascendenza.

 

 



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