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Ecco rischi e potenzialità della Leopolda Blu. L’analisi di Orsina

Una Leopolda blu, un’iniziativa autonoma e libera finalizzata al ripensamento e alla rifondazione del centrodestra, sarebbe per il centrodestra non soltanto opportuna, ma necessaria e urgente. In questo momento, però, i limiti entro i quali un’iniziativa di questo tipo potrebbe muoversi sono politicamente assai angusti. Di conseguenza, essa si risolverebbe nella migliore delle ipotesi nell’inizio di una lunga traversata nel deserto; nella peggiore, in un messaggio nella bottiglia affidato alla carità dei posteri.

Com’è ormai evidente a tutti, a partire dal 2011 la nostra infinita transizione politica è entrata in una nuova fase. Schematizzando, questa fase esibisce tre caratteri principali. Il bipolarismo “muscolare” degli ultimi vent’anni, innanzitutto, fondato sullo scontro isterico fra berlusconismo e antiberlusconismo, è stato respinto dagli italiani, convinti a ragione che esso abbia prodotto risultati mediocri. Il principale partito della sinistra, in secondo luogo, si è proiettato oltre quella fase storica, accantonando (almeno per il momento) alcuni dei riflessi più irritanti dell’antiberlusconismo e sposando molte delle innovazioni politiche introdotte da Berlusconi. Il centrodestra, infine, è entrato in una fase di marasma senile: come conseguenza anche, ma non soltanto, della condanna, la leadership carismatica dalla quale lo schieramento è sempre dipeso è irrimediabilmente appassita, la capacità attrattiva di Berlusconi si è mutata in energia centrifuga, e il centrodestra si è balcanizzato.

A questo quadro tutto nazionale bisogna poi aggiungere una notazione continentale, ma con ri-flessi evidenti pure nel nostro Paese: la crisi economica ha reso ben più rilevante che nel passato la frattura fra un centrodestra moderato e di establishment e uno euroscettico e protestatario. L’esigenza che il centrodestra italiano sia ripensato dalle radici – in termini culturali, ideologici, organizzativi – è una conseguenza del tutto ovvia di queste premesse. E non solo l’esigenza: l’urgenza. Delle fasi di transizione politica come quella che stiamo vivendo la storia può ben approfittare per introdurre mutamenti radicali – per seppellire soggetti antichi e venerati, per farne nascere di completamente nuovi. Il difetto di visione e imprenditorialità politica insomma, più tollerabile nei momenti di stabilità, in queste fasi può diventare causa di estinzione: così come non c’era un centrodestra prima della “discesa in campo”, potrebbe non essercene più uno dopo “l’uscita dal campo”.

Un confronto pure superficiale con la vicenda di Renzi può chiarire per quale motivo al momento un’eventuale Leopolda Blu resterebbe confinata entro limiti politicamente angusti. Ancora una volta al prezzo di una certa semplificazione, possiamo ricondurre il fenomeno Renzi a tre caratteri di fondo: la presenza di un partito dotato di meccanismi di selezione interna istituzionalizzati e sufficientemente aperti; il fallimento fragoroso della classe dirigente che tradizionalmente era stata selezionata (si era fatta selezionare) dal partito; le capacità politiche dell’attuale presidente del Consiglio.

Di questi tre caratteri, il primo è il più importante: se l’istituzione Pd non avesse tenuto, e se non ci fossero stati dei meccanismi relativamente aperti di selezione delle élites, il fallimento dei “rottamandi” avrebbe ben potuto generare nel centrosinistra un processo irreversibile di balcanizzazione (si rammenti lo psicodramma dell’elezione del capo dello Stato nel 2013), e i talenti del “rottamatore” non avrebbero mai avuto la possibilità di farsi valere.

Renzi e il centrosinistra devono ringraziare Veltroni e la fondazione del Pd: un’operazione che quando fu fatta pareva fallimentare, ma col tempo si è rivelata vincente. Il centrodestra, com’è noto, non ha un partito dotato di meccanismi di selezione ragionevolmente aperti e istituzionalizzati. Non c’è insomma un canale interno attraverso il quale un eventuale rottamatore, seppure magari col tempo e la fatica, possa farsi strada fra i rottamandi. Tanto più che i rottamandi, a cominciare da quello di Arcore, paiono ben decisi a difendere le proprie posizioni, e conservano una certa forza.

La Leopolda blu, naturalmente, potrebbe proprio puntare alla costruzione di questo canale interno, ad esempio con le primarie. Nelle condizioni attuali, però, una proposta “metodologica” di questo tipo acquisterebbe un valore politico immediato e sarebbe immediatamente risucchiata nel vortice di dissensi, distinguo, scontri intestini. È proprio per superare questa impasse che molti nel centrodestra hanno ripetutamente chiesto a Berlusconi di farsi lui promotore di una rottamazione “aperta” – che non si riduca, insomma, a una cooptazione controllata dall’alto. Lo hanno chiesto invano, però.

In assenza di un canale istituzionale attraverso il quale possa passare il rinnovamento, in conclusione, un’eventuale Leopolda Blu sarebbe oggi ad altissimo rischio di sterilità politica: uno sfogatoio di frustrazioni e rimostranze, un catalogo di buone intenzioni, esortazioni e auspici. Le resterebbe una funzione culturale, certo, non banale né inutile: rendere testimonianza, raccogliere le idee, piantare semi. Nell’attesa che il centrodestra si sbricioli ancora di più e che, quando tutto sarà tornato in polvere, se non sarà troppo tardi, nella polvere i semi possano infine attecchire.

Giovanni Orsina
Docente di Storia contemporanea presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma ed editorialista de La Stampa

Articolo pubblicato sul numero di agosto-settembre della rivista Formiche


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