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Contro il Califfato islamico è suicida porgere l’altra guancia. Parla Francesco Perfetti

L’atteggiamento della Chiesa cattolica e di Papa Francesco nei confronti della nuova forma di totalitarismo che sta infiammando il Medio Oriente e il Nord Africa è troppo accondiscendente? L’appello rivolto dal Pontefice a “fermare l’aggressore non attraverso i bombardamenti” rappresenta un cedimento al pacifismo europeo e rischia di incrinare l’alleanza politica, diplomatica e militare costruita con fatica dagli Stati Uniti con i governi occidentali e numerose nazioni arabe?

La riflessione critica sviluppata su Formiche.net dal filosofo cattolico Benedetto Ippolito sta alimentando un vivace confronto, compresa l’analisi di Francesco Occhetta di Civiltà Cattolicatra studiosi e intellettuali che oggi vede protagonista Francesco Perfetti, saggista, editorialista e professore di Storia contemporanea all’Università LUISS di Roma.

È corretto parlare di “guerra di civiltà e di religione” riguardo l’aggressione jihadista scatenata in Iraq e Siria?

Non metterei sullo stesso piano “guerra di religione” e “conflitto di civiltà”. Il fenomeno cui assistiamo è certamente uno scontro di civiltà, che nasce nelle faglie fondamentaliste di stampo religioso presenti in Medio Oriente. È un conflitto tra fanatismo musulmano teocratico fondato sull’idea di Stato totalitario e la civiltà occidentale. A tutto ciò si aggiunge un ulteriore elemento.

Quale?

La contrapposizione interna al mondo “orientale” tra sunniti e sciiti e fra sunniti. E che si riflette nella deriva estremistica visibile in Iraq e Siria. La religione islamica non presenta esclusivamente un volto fondamentalista. A riprova che quella in corso è una lotta di potere che utilizza strumentalmente la religione.

Ritiene tiepida e arrendevole la posizione della Chiesa cattolica e di Papa Francesco sull’aggressione dei fanatici sunniti?

Da laico ho l’impressione che l’atteggiamento assunto dal Pontefice finisca per trasformarsi di fatto in cedimento sui principi. Ben al di là delle intenzioni. Non voglio evocare lo spirito delle Crociate. Ma ricordo che la nozione di guerra non è estranea alla cultura e alla tradizione cattolica. Quando una civiltà – in tal caso occidentale e cristiana – viene minacciata, l’idea di “porgere l’altra guancia” vuol dire correre verso il suicidio.

Perché il Pontefice ha maturato una visione così critica sulla risposta all’offensiva dei fautori del Califfato?

Forse si tratta di un’interpretazione errata del progetto di un Pontificato sempre più aperto al mondo dei poveri e delle periferie. Lettura che mi appare intellettualmente fragile.

Il segretario della Conferenza episcopale italiana Monsignor Nunzio Galantino parla di “Shoah cristiana”, ma spiega che “alle situazioni di crisi si mette fine con la volontà politica di tutte le parti coinvolte nel conflitto”. Non trova un’evidente contraddizione?

Non tanto. Le sue parole esprimono il prevalere di un atteggiamento diplomatico. Ma diplomazia non equivale sempre a mediazione. Specialmente se il conflitto tra gli attori in gioco scaturisce da un’offesa grave portata da una delle due parti. Aggressione cui è doveroso rispondere in modo adeguato.

Non è rischioso legittimare dal punto di vista religioso e spirituale una mobilitazione politico-militare contro la nuova barbarie totalitaria?

Tutt’altro. È in gioco la difesa dei principi della civiltà cristiana, non tanto la salvaguardia della società capitalista o del liberismo selvaggio. Per tale motivo auspico una posizione forte da parte della Santa Sede. Realtà che non può permettersi equivoci e ambiguità in nome dell’ecumenismo.

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