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Quella insopportabile ipocrisia su F35 e spese militari

Era il 19 marzo scorso quando dalle colonne di Europa Federico Orlando squarciò il velo d’ipocrisia sull’idea “beceramente pacifista” della Costituzione. L’articolo 11, spiegava il condirettore di Europa, non può essere letto ignorando i successivi 52, 78 e 87. Se l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, dall’altro individua la difesa della patria come un dovere supremo e a questo fine prevede il ruolo delle forze armate e del Capo dello Stato che può, infatti, dichiarare lo stato di guerra.

Ed è proprio il presidente della Repubblica nel suo ruolo di capo del Consiglio supremo di difesa, e proprio quel giorno, lo scorso 19 marzo, ad intervenire ribadendo la necessità che il Paese sia capace di rispondere alle nuove e non meno insidiose minacce. Napolitano spiegò allora che lo strumento di riforma e di scelta strategica non poteva che essere il Libro Bianco la cui responsabilità era ed è nel governo e in particolare nel lavoro del ministero della Difesa.

Se queste sono le premesse, può più facilmente essere chiaro il perché le polemiche che ogni tanto riaffiorano sull’acquisto degli F35 sono spesso prive di un serio fondamento. Da ultimo, è stato scritto un appello – sottoscritto da intellettuali dell’area ‘arcobaleno’ – che chiede di rinunciare agli aerei di quinta generazione. Ovviamente, la libertà di opinione è sacrosanta ed è assolutamente legittimo che si esprimano dubbi su singole scelte industriali e militari. Quello che conta è che non venga ignorato o piegato il senso profondo della Costituzione e del nostro essere uno Stato che in quanto tale deve proteggere i cittadini dalle minacce alla sicurezza nazionale e promuovere la pace anche oltre i propri confini nell’ambito dei trattati internazionali sottoscritti.

Discutiamo quindi e facciamolo senza fronzoli. E sia il Partito democratico per primo a non sfuggire il punto di fondo. Il premier ha preso nei mesi scorsi una decisione importantissima ed ha tenuto il punto. Ha voluto che l’Italia esprimesse la responsabilità della Politica estera e di sicurezza comune della Ue. Su questo non ha mollato un millimetro ed ha ottenuto che oggi Federica Mogherini sia la nuova Lady Pesc.

Questo vuol dire, inequivocabilmente, che il segretario del Pd ha saputo e voluto cogliere la centralità politica di quella posizione. E se questa è rilevante per l’Europa, lo è maggior ragione per l’Italia che si trova oggi nel mirino del terrorismo internazionale e che ha scelto di essere nel cuore della coalizione contro l’Islamic State.

C’è da diminuire le spese? Parliamone: nel mondo ora si pensa di aumentarle ma guai ad avere pregiudizi. C’è da fare un passo indietro sugli F35? Perché no: la Nato spiega che sono un tassello fondamentale della forza aerea dell’Alleanza ma anche in questo caso viva la libertà d’opinione.

Non possiamo però eludere la riflessione del perché dovremmo rinunciare ad un programma (il Jsf) avviato oltre vent’anni fa con un ruolo di partenership dell’Italia ma dovremmo invece utilizzare e comprare tutti gli altri armamenti e mezzi militari in uso all’aeronautica come alla marina o all’esercito.

Sulla base di quale ragionamento i nostri intellettuali bocciano gli F35 e non gli Eurofighter o i Tornado? E perché mai dovremmo avere navi (anche di nuova costruzione) che hanno funzioni di attacco? C’è qualcosa che non va nella coerenza logica del pensiero dei nostri intellettuali pacifisti. Le armi le abbiamo persino cedute ai curdi e nessuno, per fortuna, ha scritto appelli.

Su questo la sinistra può e deve cogliere l’occasione per segnare una discontinuità all’insegna della chiarezza e della responsabilità, peraltro già dimostrata. Le valutazioni sul cosa sia più giusto e opportuno fare stanno nel Libro Bianco e nella ordinaria amministrazione del ministero guidato da Roberta Pinotti.

In questo senso, anche il dibattito parlamentare sulle mozioni presentate in aula dalle forze politiche potrebbe guadagnarne se i due partiti della maggioranza – Pd e Ncd – rinunciassero ai loro documenti-bandiera per scrivere una piattaforma comune il cui senso non potrebbe non essere che quello espresso lo scorso 19 marzo dal Consiglio supremo di Difesa presieduto da Giorgio Napolitano. Questo, sì, sarebbe un modo serio per affrontare i temi della difesa perseguendo il primato della politica e senza nascondersi dietro quel velo d’ipocrisia che abbiamo il dovere civile di rottamare.


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