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La professione? Per gli studenti di Milano sarà social

Oltre la metà degli “Studenti sostenibili” milanesi vede il proprio futuro professionale legato alla creazione di valore per la comunità. È uno degli aspetti chiave della ricerca promossa da ETicaNews all’interno del progetto “Dai un senso al tuo profitto” del Cergas dell’Università Bocconi. La ricerca, chiamata appunto “Studenti sostenibili”, mette in luce una generazione di futuri professionisti per i quali non sarà immaginabile staccare i percorsi di lavoro da quelli di interazione personale. Questo perché la loro proiezione sembra condurre a un modello di economia capace di superare l’attuale dicotomia tra capitalismo e sociale.

La ricerca, insomma, è uno spaccato per certi versi sorprendente di quella che è la percezione degli studenti milanesi (frequentanti cioè le accademie del capoluogo lombardo) sulle tematiche Csr e Sri. E presenta indicazioni utilissime per tutti gli addetti ai lavori. Il sondaggio ha visto la partecipazione di oltre 100 ragazzi, e, seppur senza la pretesa di rappresentare scientificamente l’universo delle centinaia di migliaia di iscritti, si presta a una duplice lettura, quantitativa e qualitativa, che fa emergere segnali forti e deboli da cui non può prescindere sia chi si occupa di costruire l’offerta formativa in università, sia chi è attivo nel settore in maniera diretta o indiretta.

Un dato significativo, appunto, è che più della metà del campione (il 54%) ritiene che tra gli aspetti imprescindibili del proprio futuro professionale ci sia la creazione di valore per la comunità in cui si troverà a operare. È stata la risposta più gettonata, che arriva al 60% tra gli studenti della Bocconi. Come emerge da molte ricerche sui millennials, i giovani non accettano più (o non riescono più ad accettare) la separazione tra vita personale e professionale, e chiedono lo stesso anche alle aziende, organismi vivi nella società e quindi in grado di generare un impatto, negativo o positivo che sia. In questo senso, i ragazzi rappresentano una sorta di avanguardia capace di interiorizzare, quasi inconsapevolmente, un concetto che ha fatto tanta fatica per emergere e che solo oggi inizia a vedere la luce nel mainstream: quello della responsabilità d’impresa, degli investimenti sociali, dell’impact investing.

Forti di questa rinnovata visione della società, non accettano un ridimensionamento della remunerazione, come in passato avrebbe acconsentito chi decideva di avvicinarsi al Terzo Settore o all’economia civile. Solo 8 su 100 hanno infatti dichiarato di essere pronti a rinunciare al 20% del proprio stipendio per lavorare in questo ambito. In altre parole, in un’epoca storica che si vede alle spalle il fallimento del Mercato come mano invisibile, e dello Stato come garante regolatorio, gli studenti di oggi e i lavoratori di domani rappresentano in forma viva la lezione che Karl Polanyi, celebre autore de “La grande trasformazione”, andava predicando oltre cinquanta anni fa (il mercato autoregolamentato come utopia, capace di desertificare la società). Tuttavia, sono consapevoli che la transizione non si è ancora compiuta e che necessita ancora di qualche tempo, sebbene inevitabile nel suo perfezionamento. La Csr e lo Sri, per il campione, rappresentano infatti un’opportunità rispetto al proprio futuro professionale (45%) e invece una carta competitiva per le aziende (35%), laddove solo pochissimi hanno risposto che sono temi poco importanti.

Per capire a che punto le università hanno assorbito questa visione, risulta molto interessante il confronto delle risposte fornite dagli studenti impegnati nel loro primo triennio e quelli invece frequentanti corsi di laurea specialistica. La conoscenza della Csr (sul campione totale al 72%) e della finanza Sri (al 54%) si dimostra molto più diffusa tra gli studenti del biennio (rispettivamente all’80% e al 71%), più avanti negli studi e magari con qualche esperienza lavorativa o di stage in curriculum. Sono infatti proprio loro che chiedono più case histories su questi temi da parte dei docenti (48%), di ascoltare più esperti ospiti in università (41%) e una maggiore attenzione, da parte dei servizi di placement, ai lavori legati a questo “ambito” (41%), anziché corsi specifici (29%). Un segnale che queste tematiche sono probabilmente trattate ancora come nicchie o legate a indirizzi specialistici, e dunque slegate dalla “grande trasformazione” della società e dell’economia. D’altra parte, solo il 38% ha affermato che nella propria università di Csr e Sri si parla molto o abbastanza, molti di più (il 53%) ha risposto al contrario poco o per niente. Percentuali che si accentuano tra chi conosce già queste tematiche: il 52% di chi conosce la Csr afferma che se ne parla.

C’è dunque molto da riflettere: la Csr e la finanza Sri si sono affermate come temi importanti, ma vengono vissute, sia nel mondo del lavoro sia in quello della formazione, ancora come ancillari, un plus subordinato ad altre logiche. Gli studenti, invece, appaiono molto più avanti, consapevoli della liquidità della nostra epoca, ma appaiono frenati da logiche novecentesche. Non è dunque un caso che iniziative come “Dai un senso” del Cergas, quest’anno giunto alla terza edizione, raccolgano sempre più interesse e partecipanti, tra le aziende e le organizzazioni, ma soprattutto tra gli studenti.

Un bel campanello (di sveglia e non ancora d’allarme) per rettori e amministratori delegati.

 

 


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