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Ecco le tre sfide (mortali?) per l’Occidente cristiano

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Due prestigiosi politologi hanno suonato il campanello d’allarme. Per Giovanni Sartori, l’Occidente fa scelte suicide, il mondo si disgrega e l’homo-sapiens sta divenendo homo videns, forma aggiornata del pithecanthropus erectus. Angelo Panebianco sottolinea gli errori fatti dall’Europa in Libia e ora in Ucraina, come la mancanza di una strategia dell’America nei confronti di Siria e Irak. Si può dissentire in qualche punto dalle loro analisi, ma non dall’intuizione di fondo. Quanto sta accadendo nei paesi occidentali nei confronti della ondata globalizzante del fondamentalismo e del terrorismo islamico conferma una tesi che i grandi morfologi delle civiltà avevano espresso: il nietzschiano Spengler, nonostante il suo catastrofismo biologico, nel Tramonto dell’Occidente (1918-22; ed. Longanesi) e l’anglicano Toynbee, con la sua opera in 12 volumi Le civiltà nella storia (1934-1961; compendio, ed. Einaudi). Quest’ultimo, che fu consulente sul Medio Oriente del governo inglese durante la Prima guerra mondiale, ci aiuta più del primo a capire l’accentuato conflitto di civiltà tra Islam e Occidente.

UNA VISIONE D’INSIEME

Ai politici ed ai mass-media, spesso così informati sui fatti particolari, sfugge una visione di insieme, che sarebbe invece necessaria per dare ai terribili eventi del Medio Oriente riposte a lungo termine. Occorre chiedersi: dato che le civiltà muoiono, quali ne sono le cause? La legge generale di Toynbee è che ogni civiltà, per crescere, deve dare una risposta alla sfida dell’ambiente. Quando non ci riesce più, per un po’ sopravvive, poi si estingue.

I FATTORI DELLA DECADENZA

Tre sono i fattori che scatenano la decadenza di una civiltà:

1. la minoranza che detiene il potere perde la sua «forza creatrice» e da «dominante» diventa «dirigente»; di conseguenza, la maggioranza dominata cessa di esserle fedele e imitativa (anche se Toynbee non aveva letto Gramsci, il concetto è di entrambi): «crolla l’unità sociale»;

2. il proletariato interno, guidato dai suoi intellettuali distruttivi, gestori della opinione pubblica, vive nella società senza parteciparvi e cerca una nuova religione (quando cadde la civiltà romana, fu il cristianesimo); il proletariato occidentale moderno, invece, si è rivelato capace solo di distruggere la vecchia religione, ma non di proporne un’altra (l’esito non è stata la gramsciana «riforma intellettuale e morale», ma il nichilismo);

3. alla frontiere preme un proletariato esterno («bande da guerra barbariche»), che cerca di entrare, in nome dei princìpi umanitari della civiltà in cui non crede, per occuparla e poi sostituirsi ai dominatori, ormai imbelli: «Il tempo lavora a favore dei barbari».

COSA DISTRUGGE LE CIVILTA’

Toynbee non ha dubbi: «Il cancro che distrugge le civiltà viene più da dentro che da fuori». Allo scisma del corpo sociale corrisponde sempre uno «scisma dell’anima»: la minoranza dominante assume la volgarità e la barbarie dei due proletariati, nei quali si dissolve; una volgarità evidente nell’arte, degradata e disumana, come nello stile di vita; nasce una lingua comune a tutta la mescolanza dei popoli, che produce un generale avvilimento; trionfa un sincretismo religioso, nel quale la religione tradizionale cerca di sopravvivere facendo proprie dottrine e prassi di altre culture: essa spera così di guadagnare consensi, quando invece si suicida, tra gli applausi dei suoi nemici.

IL DECLINO DELL’EUROPA E DELL’AMERICA

L’Europa e l’America sono ancora i paesi più potenti del mondo, ma il loro declino è sotto gli occhi di tutti. Come pure la crescita di tante nazioni extraoccidentali. In questo 2014 celebriamo cento anni di crisi dell’Occidente, mostrata da quelle due guerre mondiali che furono decise da nazioni extraeuropee. Il Novecento non è stato il secolo dell’Occidente, ma della sua crisi, evidente prima nella perdita dei dominî coloniali delle nazioni europee, poi nella loro subalternazione alle due potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, Usa e Urss.

La seconda metà del Novecento, negli anni della guerra fredda, ha visto una fertile alleanza tra Europa occidentale e Stati Uniti, divenuti il «guardiano del mondo». Ma oggi la situazione è mutata. Dal 1989, la caduta del comunismo ha accentuato l’isolazionismo degli Stati Uniti, il trasferimento dei loro interessi dall’Atlantico al Pacifico. Le nazioni europee devono fare da sé e non mostrano di essere molto concordi sul da farsi. Hanno Lady Pesc, ma non hanno una politica estera comune. Come non l’ha l’America. Quanto sta facendo il governo Obama, con le sue incertezze e confusioni, e anche con scelte poco intelligenti, lo prova a oltranza. E ciò si traduce in aumento della conflittualità anche in Europa, dato che gli Stati Uniti, per lungo tempo, ne hanno sostenuto e amalgamato i progetti politici.

UNA CRISI MORALE E RELIGIOSA

In tale situazione la crisi dell’Occidente non si risolve, ma si aggrava. Senza che ciò possa indurre ad un catastrofismo senza speranza. Non è detto che anche l’Occidente debba morire come le altre civiltà sinora scomparse. Può ritrovare la sua «anima», riprendersi e rifiorire. Quando capirà che la crisi più grave, in cui si dibatte, non è economica o politica, ma morale e religiosa. Per ora di una palingenesi abbiamo pochi segni. Forse perché ci affidiamo a politici, banchieri, burocrati e tecnologi. Mentre dovremmo guardare più in alto.

Come scriveva Croce nel 1947, quando capì che il mito del Progresso era in frantumi e che la sua «Religione della Libertà» era troppo aristocratica. L’Europa languiva e per farla risorgere occorreva sloggiare «l’Anticristo che è in noi»: «La crisi presente del mondo è la crisi di una religione da restaurare e da ravvivare o da riformare; e a soccorrere ad essa non bastano i soli politici e guerrieri, ma ci vogliono i genî religiosi e apostolici; non ne vediamo la presenza, ma ne sentiamo il bisogno nei nostri cuori».


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