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Ecco obiettivi e rischi della mozione del Pd anti-F35 approvata dalla Camera

Con il voto della maggioranza la Camera ha approvato oggi la mozione del Partito Democratico sulla partecipazione al programma F-35.

LA MOZIONE

Il testo – primo firmatario Gianpiero Scanu (Pd) – “impegna il Governo a riesaminare l’intero programma” del velivolo di Lockheed Martin “per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla commissione Difesa della Camera dei deputati a conclusione dell’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013″ e tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti”.

Secondo la mozione, l’esecutivo è poi impegnato “a ricercare, entro questi limiti, ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua potenzialità quale polo produttivo e logistico internazionale; a mantenere costante il controllo sulla piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di efficienza e di sicurezza e ai criteri operativi delle Forze armate”.

LE ALTRE MOZIONI

L’assemblea – riporta la Repubblica – ha approvato anche le altre mozioni della maggioranza, tutte con il parere favorevole dell’esecutivo: da Scelta Civica è arrivata la richiesta al governo di “aggiornare” il programma in relazione alle esigenze di bilancio, mentre Ncd ha chiesto l’impegno a “ricercare ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua competitività quale polo produttivo e logistico internazionale”.

Ok anche alla mozione presentata da Forza Italia (sempre con il parere favorevole dal governo) che “impegna il governo a contemperare le esigenze della difesa anche in riferimento al programma Joint Strike Fighter (F35), con le più generali esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel rispetto degli impegni assunti in sede internazionale e delle prerogative del Parlamento in materia di programmazione e pianificazione dei sistemi d’arma”.

IL REPORT CESI

Tuttavia non sono poche le riserve sul testo approvato dalla Camera. Un report del Centro Studi Internazionali realizzato da Francesco Tosato rileva come “la partecipazione italiana al programma F-35” sia “frutto di una visione strategica che ha attraversato più legislature e che ha individuato nel Lightning II la piattaforma idonea a soddisfare le esigenze operative delle Forze Armate italiane e il progetto idoneo a trasferire parte delle conoscenze “allo stato dell’arte” della nuova tecnologia stealth all’industria nazionale stante la totale inesistenza di alcun progetto europeo a riguardo”.

Se da un lato “l’Eurofighter… sarà il principale strumento per lo svolgimento delle fondamentali missioni di difesa e superiorità aerea e continuerà ad evolvere quale macchina multiruolo per attività di supporto alle truppe di terra”, l’F-35 “rappresenterà la piattaforma più strategica votata al ruolo di deterrenza e dissuasione”.

INVESTIMENTI PERSI

Una scelta felice, dunque, dal punto di vista operativo, ma per il Cesi anche da quello economico. Aspetti che rischiano di essere penalizzati da un’ulteriore dimezzamento dei velivoli ordinati (già diminuiti dai 131 originari a 90) o peggio azzerati – come propongono altre forze politiche – da uno stop completo al programma.

“Dal lato finanziario, industriale e politico, sebbene non vi siano penali vere e proprie in caso di rinuncia all’acquisizione degli F-35 – rimarca il dossier -, è bene precisare che sono già stati spesi più di 2 miliardi di dollari tra contributi finanziari allo sviluppo del velivolo e costruzione della FACO di Cameri per l’assemblaggio in Italia degli aerei destinati alle nostre Forze Armate e anche alla Reale Aeronautica olandese.
Un eventuale ritiro italiano, quindi, provocherebbe la perdita di tutte le ingenti risorse pubbliche investite, la necessità di riconvertire il polo di Cameri ad altra attività e l’imbarazzo
di dover comunicare ad Amsterdam che non potranno contare sulla linea di montaggio italiana per la produzione dei loro velivoli nonostante l’accordo siglato ufficialmente lo scorso settembre. A ciò, vanno aggiunti tutti gli investimenti fatti dalle aziende italiane coinvolte nel programma – tra le quali Finmeccanica – che diventerebbero improvvisamente inutili”.

LA SCELTA MIGLIORE

Ma anche “un eventuale ulteriore riduzione dell’ordine nazionale, oltre a determinare un non senso operativo, rappresenterebbe un notevole spreco di risorse economiche considerato che la linea di montaggio di Cameri opererebbe su regimi produttivi assolutamente fuori scala rispetto a quanto progettato inizialmente. Inoltre, in questo caso, sarebbe tagliato proporzionalmente da Lockheed Martin anche il ritorno industriale previsto per il nostro Paese con un ulteriore considerevole danno economico”, come evidenziato con dovizia di particolari in un report indipendente di PricewaterhouseCoopers. Tali circostanze, aggiunge il Cesi, “comporterebbero un incremento del prezzo unitario per velivolo estremamente sensibile per le casse dello Stato posto che la costruzione del cassone alare rappresenta di per sé circa il 60% del costo di realizzazione della cellula del velivolo”.
Pertanto, conclude il report, “la migliore opzione risulta essere quella di proseguire con il programma negli attuali numeri, spingendo quanto più possibile, a livello politico, per un maggior ruolo industriale nazionale, una completa europeizzazione dei sistemi d’arma del velivolo e la valorizzazione del polo di Cameri”.



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