Il 4 e 5 settembre si riuniranno in Galles i Capi di Stato e di Governo dei 28 paesi membri della Nato e dei numerosi altri Stati facenti parte del Partenariato per la Pace o comunque associati all’Alleanza Atlantica da vari legami, come il “Dialogo Mediterraneo” o l’“Iniziativa Cooperativa di Istanbul”.
A parte le solite chiacchiere sul fatto che, nella storia, nessuna alleanza ha avuto tanto successo quanto quella atlantica o le solite recriminazioni sull’insufficienza dei bilanci militari europei e sul fallimento del programma Smart Defense – basata sulla razionalizzazione dei contributi dei singoli Stati, tramite la formula del pooling e dello sharing – verranno dibattuti tre importanti argomenti: i) quali adeguamenti dovrà attuare l’Alleanza in conseguenza della caduta in Ucraina della possibilità di un suo partenariato per la sicurezza paneuropea con Mosca e della necessità, avvertita soprattutto dai paesi europei centrorientali e dagli Stati Baltici (a cui vanno aggiunte Svezia e Finlandia), di ripensare la dissuasione nei confronti di Mosca; ii) che cosa fare per evitare che la frammentazione in Medio Oriente, in Libia e nel Sahel minacci la sicurezza atlantica; iii) quali strategie e mezzi predisporre per disimpegnare le poche forze Nato che rimarranno in Afghanistan a fine anno, qualora dovessero essere messe in pericolo da un’offensiva talebana.
Il primo punto è quello più controverso e divisivo. Riguarda il cuore stesso dell’Alleanza. Le affermazioni di coloro che sostenevano che l’iniziativa di Mosca in Ucraina avrebbe rafforzato l’unità dell’Alleanza, riportandola quasi automaticamente alla sua missione originale di dissuasione e di difesa degli Stati membri, sono state smentite. Da un lato dalle divisioni dei paesi europei dell’Alleanza, specie nei riguardi della politica da adottare nei confronti di Mosca. Dall’altro, dalla riluttanza degli USA di esercitare la loro tradizionale leadership nell’Alleanza, che peraltro continuano a mantenere a galla. Oggi il numero di telefono europeo auspicato da Kissinger esiste: è quello della Merkel. La Germania è però restia ad assumere responsabilità dirette. Obama non riesce poi a definire una posizione degli USA intermedia fra il disimpegno dall’Europa e l’egemonia nell’Alleanza. Il primo sarebbe destabilizzante (come quello avvenuto dopo la prima guerra mondiale). Finirebbe a creare le condizioni per una nuova guerra in Europa. La formula “leadership from behind” non è sufficiente a garantire l’unità politica dell’Alleanza.
Gli europei si sono abituati troppo bene a essere protetti da “mamma America”. Sperano di continuare a esserlo. Non hanno alcuna intenzione di adeguare i loro sforzi per la difesa. Di fronte alla “terra incognita” di una difesa comune europea, si comportano come molti fanno in questi casi: quando non si sa cosa fare, ci si aggrappa a quanto si conosce, cioè alla speranza che gli USA rimangano e continuino, anche se di malavoglia, a garantire la sicurezza europea.
Certamente, il Summit vedrà accesi dibattiti su cosa fare per l’Ucraina e per riassicurare i paesi NATO più esposti al potenziamento militare di Mosca. Essi riguardano: per l’Ucraina, forniture di armi sofisticate e pesanti sanzioni nei riguardi della Russia, con eventuali, ma del tutto improbabili compensazioni a vantaggio delle imprese e dei paesi più colpiti. Per il rafforzamento della dissuasione degli Stati europei centrorientali, si prevederà quasi certamente lo schieramento a rotazione di unità terrestri e aeree NATO, il pre-posizionamento di mezzi pesanti, la predisposizione di unità di immediato intervento e altre di rinforzo alle prime, per far fronte alla nuova configurazione della minaccia della Russia. Quest’ultima, eviterà un attacco diretto massiccio ai paesi NATO. Adotterà la strategia della “guerra non lineare”, simile a quelle seguite da Putin in Ucraina e basata sull’utilizzazione delle minoranze russe.
Le misure adottate dal Summit NATO saranno “pezze a colore”. Le divisioni fra i paesi membri sono troppo profonde. Ridotta è poi in Europa la percezione di una minaccia diretta di Mosca. Molti continuano a considerarla, come nel Founding Act fra la NATO e la Russia del 1997 un partner della sicurezza paneuropea. A parer mio, esiste al riguardo molta confusione. Per essere partners occorre essere in due. Non bisogna confondere la risolutezza con la provocazione. Tale confusione concettuale è riflessa in frasi, politicamente corrette, del tipo “non esiste soluzione militare”. Nella storia non vi sono mai state soluzioni puramente militari, neppure nel caso della “Delenda Carthago”.
Anche per il Medio Oriente e l’Africa c’è poco da sperare. Il Summit concluderà che l’Alleanza, in quanto tale, non deve immischiarsi più di quel tanto. Si dirà anche che lo Stato Islamico non rappresenta una minaccia militare, nel senso proprio del termine, e che a quella terroristica devono pensarci i singoli Stati. Tutt’al più, si auspicherà che la Turchia blocchi sia l’afflusso di volontari che raggiungono l’ISIS sia il transito sul suo territorio del petrolio che il Califfato commercia.
Infine, per quanto riguarda l’Afghanistan, saranno certamente previste ulteriori misure per il disimpegno delle forze NATO rimaste. In pratica, si chiederà agli USA di predisporre una missione di soccorso. D’altronde, sono gli unici in grado di fornire le forze e i trasporti strategici necessari.
In sostanza, non sono da farsi molte illusioni. La NATO rimarrà in piedi soprattutto perché non ha alternative, data l’inesistenza di un’Europa politica e strategica